Che vogliono i partiti da Napolitano?

Anche se lo pensasse (e sospettiamo che lo pensi), Giorgio Napolitano non dirà mai che questi partiti sono proprio impuniti. Innanzi tutto perché non sarebbe un lessico presidenziale, e poi perché il capo dello stato non è romano mentre l’espressione è molto tipica della capitale. Sono abbastanza incredibili lo scetticismo e la diffidenza fino all’aperto dissenso che, a scoppio ritardato, circondano l’iniziativa della nomina delle commissioni sia nel centrosinistra che nel centrodestra. Ma è sbagliato stupirsi, perché in fondo almeno da un anno e mezzo è sempre la stessa storia: i partiti a parole elogiano il capo dello stato, nella realtà lo soffrono, non riescono a corrispondere al proprio ruolo e alle proprie responsabilità, si innervosiscono sia per le pressioni del Quirinale e ancor di più per l’inevitabile supplenza che segue alla loro impotenza.

Sull’esperienza governo “del presidente” attualmente in carica si può essere perfino demolitori ma non si può dimenticare che è intervenuta a rimediare a un fallimento di Pdl e Lega quando il Pd non era pronto a offrire un’alternativa. Analogamente, se i partiti sono filati dritti verso il flop del 24 febbraio è per non aver voluto ascoltare gli inviti di Napolitano a cambiare almeno la legge elettorale. E se infine oggi il presidente si trova a dover inventare soluzioni creative per cambiare l’agenda istituzionale, è per l’assoluta incapacità dei partiti a rispettare l’agenda che c’era dando rapidamente vere soluzioni di governo al paese.

Quindi c’è poco da innervosirsi, da parte del Pdl (che con l’inversione dell’agenda istituzionale vede vanificato il ricatto sul Quirinale e la speranza di scambiarlo con palazzo Chigi) e anche del Pd. Anzi, farebbero bene a tifare perché soprattutto la commissione guidata dal professor Onida faccia un buon lavoro, che se abbiamo capito bene consisterà in questo: predisporre una riforma elettorale decente (il ritorno al Mattarellum?) che sia pronta da approvare in parlamento in pochissimi giorni, dopo l’elezione del nuovo capo dello stato e l’insediamento del prossimo governo (se ci sarà mai).

Solo in questo modo chi ha la fregola di andare subito a nuove elezioni potrà perseguire questo disegno. Sono proprio costoro, gli entusiasti del voto a raffica, che oggi dovrebbero ringraziare Napolitano per una mossa che non fa perdere tempo ma al contrario – se fosse adeguatamente agevolata, sostenuta e infine raccolta, cioè se finalmente i partiti riuscissero a fare ciò che devono – potrebbe farne guadagnare.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.