De Gregorio, Craxi e le minacce al governo

Personaggi e contesto sono riduzioni in scala, quasi caricature. La sequenza però è simile in modo impressionante. Il voto segreto di palazzo Madama che ieri pomeriggio ha salvato dall’arresto il senatore De Gregorio richiama il voto col quale la camera, il 29 aprile 1993, negò l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Il clima lo ricordiamo, le conseguenze immediate anche (le monetine del Raphael), ma ciò che inquieta di più è la possibile analogia con l’impatto che quella votazione ebbe sul neonato incolpevole governo Ciampi (non tecnico, ma d’emergenza sicuramente sì): l’uscita dei ministri indicati dalle sinistre, l’inizio di un avvitamento che in sei mesi sarebbe sfociato in crisi ed elezioni.

Ancora bruciati dalle polemiche sulle nomine nelle Autorità di garanzia, e avendo su tutte le prime pagine i resoconti delle difficoltà del governo Monti sul fronte della crescita, è legittimo chiedersi se gli eventi non finiscano per dar ragione chi nel Pd vede ormai esaurita e non più praticabile la legislatura, con un parlamento che invece di dare i segnali attesi – l’autoriforma della politica, la trasparenza, la nuova legge elettorale – si rinserra nei propri peggiori difetti.

È vero che l’Italia tuttora – e chissà per quanto tempo – non può fare a meno di presentarsi al mondo con l’immagine autorevole e credibile di Monti; e che la contingenza economica ci scongiura di non imbarcarci in campagne elettorali anticipate, per di più probabilmente non risolutive. Ma se il governo sta facendo la propria parte, è vero che questo parlamento appare inabile a fare la sua. Per di più, da Milano a Roma si moltiplicano i segnali di un ritrovarsi della vecchissima coalizione di centrodestra, il che non può non mettere a rischio la tenuta della maggioranza “montiana”.

Con tutta la sua buona volontà (e qualche volta invece con palesi errori), il Pd finisce puntualmente per rimanere invischiato in vicende che lo coinvolgono nel discredito. La direzione di domani si conferma come un momento di decisioni importanti. C’è da rispondere ad Alfano che vorrebbe chiudere sulla legge elettorale entro giugno. Chissà se sarà sufficiente questa prospettiva a bilanciare gli evidenti segnali negativi, e a rilanciare l’appoggio al governo in rispondenza dell’interesse nazionale: che non cambia, ma ogni giorno subisce un colpo più duro.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.