La rivolta degli smemorati

Non è possibile essere così falsamente smemorati – quindi in mala fede – come quelli che oggi titolano o commentano lamentando la stangata di Monti, additando i professori come cinici affamatori del popolo, dispiacendosi con facile gioco di parole alle spalle del ministro Fornero perché «c’è da piangere».
Che cosa pensavate, che si stesse scherzando? O magari che l’emergenza finanziaria fosse davvero un’astuta invenzione per far fuori Berlusconi, dopo di che avremmo potuto ricominciare come prima?
Certo che c’è da piangere, ma questa non è la conseguenza bensì la premessa della nascita del governo Monti. Come ripete lui stesso: non sarebbe seduto lì, al posto che solo un mese fa occupava Berlusconi, se non ci fosse stato bisogno di qualcuno che si assumesse la responsabilità di compiere le scelte difficili che nessuno ha saputo affrontare: i partiti, ma anche i sindacati, le imprese, le categorie associate.

C’è un filo di ipocrisia allora, lasciatelo dire, nelle mobilitazioni sindacali di questi giorni. Per carità, le confederazioni devono tutelare il proprio ruolo (è soprattutto per questo che si sono infuriate: per la mancata concertazione preventiva) e magari daranno anche una mano a correggere i punti sbagliati della manovra, che ci sono. Ma la parte che recitano è ormai sempre la stessa, perfino nella divisione al proprio interno: stucchevole.

La manovra del governo Monti è tutt’altro che perfetta, risente anche di correzioni dell’ultima ora un po’ posticce. L’impatto che ha avuto è però prodigioso, ed era la prima cosa che le si chiedeva: un effetto sui mercati che fa rifiatare la finanza pubblica e privata; una proiezione dell’Italia sulla scena europea tale da far dire ai leader politici (ieri in parlamento): vai Monti, ora fatti valere con Merkozy. E lui ha promesso di farlo, anche perché lui può farlo.

I partiti confessano di essere in difficoltà. Faceva una certa impressione, ieri pomeriggio, ascoltare i discorsi alla camera di Cicchitto e Franceschini in rapida sequenza, perché erano veramente speculari, anche nella apprezzabile sincerità quando ricordavano a Monti che Pdl e Pd stavano assumendosi seri rischi nei confronti dei rispettivi elettorati. Entrambi i capigruppo, fino all’altro ieri contrapposti, segnalavano di non potersi riconoscere del tutto nella manovra ma di aderire alla necessità superiore di appoggiarla. Franceschini con un di più: il Pd ha qualche necessità di modifica superiore al Pdl.

La partita che si gioca da oggi riguarda, nel campo democratico, la possibilità di apportare modifiche almeno sui punti dell’indicizzazione delle pensioni e dell’aggiornamento delle rendite catastali, sapendo però che il cantiere della manovra non può assolutamente essere riaperto del tutto in parlamento.
Il Pd ha tutte le ragioni del mondo sul punto del congelamento dell’indicizzazione delle pensioni, che dell’intera architettura di Monti è davvero il buco nero. Una solenne ingiustizia, talmente palese da potersi giustificare solo con una disperata esigenza di cassa. E va notato che lo stesso Pd non chiede di rinunciarvi, ma solo di alzare il tetto dell’esenzione salvando diversi milioni di posizioni.
Vedremo come si sviluppa la vicenda, sapendo che neanche il governo Monti può sottrarsi alla regola aurea di tutte le finanziarie, per quanto blindate: portarle in parlamento sapendo in anticipo che occorrerà concedere qualcosa ai partiti.

Se però la dialettica parlamentare ha le sue regole, e nel caso specifico l’equità sociale reclama una correzione, qualcosa va detto sull’atteggiamento generale tenuto dai partiti nelle ore a cavallo del varo della manovra Monti, e soprattutto a manovra presentata.

Proprio in considerazione dell’asperità del percorso proposto dal Professore, ci si chiede quanto potrà durare e quanto potrà essere utile il distacco esibito ieri alla camera da Pdl e Pd.
Un conto è sottolineare – una volta, due volte, tre volte – che si stanno facendo rinunce rispetto al prioprio programma. Un’altra cosa è mostrarsi agli italiani con le facce appese dei condannati a chissà quale tortura: il messaggio, neanche tanto cifrato, è che rispetto ai sacrifici richiesti dal governo c’è una corresponsabilità limitata. E che sotto sotto i partiti continuano a pensare che loro avrebbero saputo e potuto fare meglio del professor Monti.

La seconda cosa è semplicemente non vera, altrimenti non si capirebbe perché è successo tutto quello che è successo: che ha rappresentato l’ammissione di un fallimento non soltanto (macroscopico) del governo Berlusconi, ma anche dei governi che l’hanno preceduto, e della non maturità delle attuali opposizioni ad assumersi l’intero carico del risanamento e delle riforme.
La prima cosa – la corresponsabilità limitata – è invece, più che non vera, pericolosa. Dovrebbe essere chiaro dopo la giornata parlamentare di ieri, segnata dallo sconclusionato discorso del più scarso tra i dirigenti leghisti (Reguzzoni) e dal passaggio all’opposizione di Di Pietro (dovremmo definirlo ri-passaggio: sul governo di transizione l’Italia dei valori è già… transitata più volte, e in varie direzioni opposte).

Non ci si difenderà dalle scorribande populiste di queste improvvisate opposizioni tenendo, rispetto al governo, un’algida distanza amichevole. Né sarà più semplice – parlando del Pd – la gestione dei rapporti con la Cgil e la prevedibile protesta sociale.

Non ci vuole uno scienziato di politica e di comunicazione, per cogliere la debolezza di una posizione che riduca tutto alla rinuncia, al sacrificio, all’accantonamento dei propri obiettivi. Di fronte a una linea così fragile, partiti in debito d’ossigeno come l’Idv e la Lega possono giocare pesantemente all’attacco.
Insisto su un punto che Europa – il giornale che dirigo – ha già sollevato, e mi sento di poterlo fare a maggior ragione dopo la prova di Monti sia come redattore della manovra che come suo comunicatore: occorre circondare di fiducia e oserei dire di calore l’operato suo e dei suoi ministri (maxime la straordinaria ministra Fornero, sapendo che sul mercato del lavoro sarà esposta su una frontiera durissima, per lei e per noi), puntando sulla fiducia che innanzi tutto gli italiani hanno mostrato di avere nei loro confronti.

Lo scambio proposto da Monti – serietà e salvezza dell’Italia contro sacrifici – può funzionare, nonostante tutte le lacrime che scopriamo un po’ ipocritamente di dover versare, e nonostante le imperfezioni inevitabili quando si lavora fra due schieramenti politici avversi fino a ieri e nel prossimo futuro. Il pericolo per il paese, in questo momento, non è certo nelle stanze dei tecnici del governo, ma nelle stanze ancor meglio riscaldate degli smemorati a gettone che cinicamente giocano sulla sofferenza e incitano alla rivolta.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.