Sull’acqua No all’ideologia

Il clima che si sente crescere intorno ai referendum – compresi gli insulsi errori di data dei mezzibusti di Tg1 e Tg2 – rafforza l’idea che la scadenza abbia un valore politico prevalente sul merito delle scelte.

Se dovessimo sintetizzare: l’esito referendario non avrà impatto sugli assetti di Palazzo (che Bossi e Berlusconi hanno già registrato, seppure al minimo); l’eventuale mancanza del quorum sarà un evento fisiologico, che il governo accrediterà a se stesso ma con benefici relativi; viceversa, il quorum sarebbe clamoroso non tanto, ripetiamo, per l’effetto di spallata sul governo (che non ci sarà), ma perché confermerà una forte determinazione degli italiani a colpire e penalizzare Berlusconi.

Detto questo, c’è anche il merito, e sono temi cruciali. Su nucleare e legittimo impedimento, per stabili convinzioni personali e di testata, vale appena la pena di ribadire la nostra piena scelta per il Sì. Sui due quesiti sull’acqua invece merita di soffermarsi. E, a titolo personale senza coinvolgere Europa, vorrei dichiarare invece due No abbastanza convinti, fondati anche su un rigetto più generale dell’operazione ideologica promossa dai Comitati per il Sì.

È significativo che i due quesiti sulla gestione della distribuzione dell’acqua (non sulla sua proprietà, primo grave punto di disinformazione) siano gli unici a suscitare a sinistra un po’ di discussione con un minimo di trasversalismo (Chiamparino, Renzi, Bianco, Tonini, Ceccanti per vari assortimenti di No). Il perché lo si capisce al terzo scambio di battute di qualsiasi discussione affrontata in questi giorni: si arriva subito a citare ogni privatizzazione presente, passata o immaginaria (tipo Poste o Ferrovie), per dimostrarne inefficienza e iniquità.

Tante verità ma anche tantissimi luoghi comuni non dimostrati, a riprova di una apertura al mercato più subìta che voluta e assimilata. Per quanto riguarda il Pd, mi fido molto della garanzia che Bersani offre con le sue parole di oggi e soprattutto con i suoi precedenti da amministratore, ministro e segretario: i democratici non torneranno all’era della demonizzazione dell’intervento privato nelle prestazioni di pubblici servizi, all’epoca nella quale si pensava che l’interesse dei cittadini fosse custodito nelle casseforti delle municipalizzate di qualsiasi settore, intorno ai tavoli dei consigli d’amministrazione nominati pro-quota dai partiti, dove gli utili finivano facilmente in mazzette e le perdite erano messe in conto ai contribuenti locali.

Per la mia piccola parte voglio però dare una mano al segretario del Pd, rafforzare le convinzioni da lui tante volte espresse e messe in pratica. Farlo votando No può essere utile, se significa tenere accesa una fiammella sulla quale ora imperversa la tempesta ideologica ben raffigurata dagli spot del Sì, con avidi signori col cilindro in testa che lucrano sul bene più prezioso che ci sia sulla terra. Già, prezioso. Che non significa gratuito, come forse si illudono cittadini di ricche e ben rifornite città che hanno sempre considerato l’acqua un bene illimitato, di cui disporre a piacimento a prezzi irrisori, partecipando di un enorme e criminale spreco. Al contrario, proprio l’ambientalismo ha insegnato che è giusto dare un valore ai beni essenziali limitati. Perfino all’aria pulita, figurarsi all’acqua.

Chiarito questo primo ma fondamentale punto, l’articolo di Massimo D’Antoni (non un acceso liberista) che pubblichiamo oggi su Europa spiega bene l’effettivo contenuto dei quesiti, compresi gli esiti paradossali dell’eventuale vittoria dei Sì. Ci torneremo nei giorni prossimi, anche andando a guardare le citatissime esperienze straniere.
L’analisi sul campo, in Italia, riporta in pari misura giustificate e comprovate disfunzioni di servizi dati in affidamento come di servizi trattenuti dai comuni, insieme a good practices di entrambi i tipi: a riprova che non è lo strumento che decide della buona politica, bensì come lo si usa e chi lo usa, da erogatore o da controllore, nelle pubbliche amministrazioni.

I referendum sono invece fatalmente tranchant. E dall’analisi del merito si capisce che dalla vittoria dei Sì trarrebbero vantaggio i comuni che vogliono trattenere l’erogazione in house senza dover misurare (e quindi migliorare) la propria efficienza con quella disponibile sul mercato; e che quanto ai costi di gestione si tratta solo di decidere se essi (inevitabili, come gli investimenti e la relativa remunerazione) debbano essere coperti con le tariffe (comunque fissate dal pubblico) delle società miste o private, o dalle imposizioni locali dei comuni. Già, perché il miracolo dell’acqua gratis non lo concederà nessuno.

Per domenica e lunedì accontentiamoci allora del miracolo del quorum: del merito sarà meglio tornare a parlare a mente fredda.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.