Social Winner, il giornalismo al tempo di Beppe Grillo

l'ebook sul giornalismo e le elezioni 2013

Siamo quelli dell’io l’avevo detto che finiva così anche se in realtà non l’ho detto mai. Quelli dell’avevo capito tutto, peccato non lo avessi scritto anzi io quel fenomeno in realtà l’ho ignorato finché ho potuto pensando davvero che non esistesse, saranno due gatti vedrai, e poi l’ho denigrato sperando che sparisse e invece quello niente, stava sempre lì, più grande che mai finché ci ho sbattuto contro ma l’avevo detto eh! Quelli del peccato che non c’era lui, l’altro; ma che quando lui, l’altro, correva e ci provava a cambiare le cose gli davamo del traditore della patria. Siamo noi, noi che ci diamo le arie perché scriviamo di politica in Italia anche se assomigliamo maledettamente ai giornalisti sportivi che andavano in tv al Processo di Biscardi a spiegarci, il giorno dopo, sempre e solo il giorno dopo, perché la partita è andata in un certo modo e ad azzuffarci un po’.

Chiariamo: un giornalista non può trasformarsi in meteorologo e azzeccare le previsioni del tempo politico, ci mancherebbe, anche perché un satellite per osservare il movimento delle nubi che attraversano una comunità sociale non esiste; ma almeno provare ad avvistare prima l’iceberg che abbiamo davanti, e provare a spiegare da dove arriva e come evitarlo quello sì, dovremmo farlo. Raccontare storie vere e provare a dar loro un senso. Solo questo basterebbe. E invece noi siamo quelli che hanno fatto una gran brutta figura con noi stessi prima che con i lettori e adesso siamo qui a chiederci che senso abbiamo ancora, cosa dobbiamo cambiare per tornare a fare davvero il nostro mestiere, che pure sarebbe un mestiere bellissimo e indispensabile al funzionamento di una democrazia: il giornalismo, perché siamo tutti d’accordo che senza il giornalismo con la g maiuscola non ci può essere democrazia e quindi né giustizia né libertà. Ma se la democrazia in questo momento non se la passa benissimo, evidentemente anche il giornalismo non gode di ottima salute: ce ne vogliamo occupare? Perché il giornalismo siamo noi, noi che vorremmo tornare ad essere di nuovo utili ai cittadini e quindi di nuovo rilevanti e non sappiamo come fare.

È legittimo dire che il vero partito sconfitto alle elezioni politiche del 2013 è stato il partito dei giornalisti? No, perché i giornalisti non sono un partito. Ma la sconfitta c’è stata tutta. Riguardandola oggi la campagna elettorale dal punto di vista della informazione tradizionale è stata un fallimento impietoso. Anche qui: non è stato un fallimento imprevisto, i difetti di noi giornalisti, di un certo modo di fare giornalismo, da tempo erano stati avvistati e denunciati. Ma le proporzioni di quanto è accaduto questa volta sono troppo macroscopiche per non fermarsi un attimo a parlarne. Bisognerebbe innanzitutto rileggerli i giornali di dicembre 2012 e gennaio 2013, rivedersi i tiggì per trovare la rappresentazione di un mondo che non c’era già più. Il solito minuto di intervista quotidiana al leader di nulla; la solita paginata sul partito che da lì a poco sarebbe scomparso dalla scena politica; il solito botta e risposta con la solita botta e la solita risposta che non aggiungono nulla a quello che già sapevi; e soprattutto i soliti retroscena, il nostro genere preferito. Tizio avrebbe detto a Caio che non farà una alleanza con Sempronio il quale però in una riunione segreta avrebbe sussurrato a un amico che…

Sono vent’anni che come lettori siamo vittime dei retroscena politici: notizie senza fonte, congetture, veline, soffiate e spesso tanta fantasia con un linguaggio fatto di codici comprensibili solo per gli addetti ai lavori. Chi sarà mai, per dire, SuperMario? Un videogioco? E Pierluigi? E Pierferdi?

Ma a furia di raccontarci i retroscena ci siamo dimenticati di presidiare la scena. Anche quando in scena non è entrato un topolino ma un elefante. Io l’elefante ho avuto la fortuna di vederlo un giorno su Instagram. Il 24 gennaio con Marco Pratellesi e una pattuglia di giovani cronisti avevamo lanciato Italia2013.me, un esperimento per provare a raccontare la prima campagna elettorale social della nostra storia: immaginavamo trenta milioni di telefonini che twittavano, fotografavano, filmavano. Cosa ne sarebbe venuto fuori mettendosi a guardare il mondo da quel punto di vista lì? Quei messaggi potevano singolarmente diventare contenuti rilevanti? E tutti assieme potevano costituire una base dati utile a capire l’orientamento degli elettori?
Con questi obiettivi era partito il sito e tutto il lavoro collettivo di quei trenta giorni, le storie, le analisi, le classifiche le trovate in questo ebook (in download gratuito su Amazon, Book Republic e Il Saggiatore) che ha l’unica pretesa di essere una testimonianza puntuale di quello che è accaduto durante la campagna elettorale vista attraverso la rete, per far sì che quel materiale non vada perduto. Magari qualcuno studiandolo ci troverà un senso e avremo davvero imparato qualcosa. È il nostro auspicio.

Ma torniamo all’elefante in scena. L’ho visto su Instagram cercando la parola #Grillo a fine gennaio, quando sui giornali il Movimento 5 Stelle non esisteva. Ogni giorno quella ricerca mi restituiva le foto di piazze traboccanti di gente puntualmente ignorate dalla informazione ufficiale. Le piazze piene non sono voti, mi rispondevano i colleghi quando chiedevo loro spiegazioni, la gente va in piazza ad ascoltare un comico gratis, questo fa. Poi un giorno ho visto una piazza più grande del solito, piazza Maggiore a Bologna, gremita come non mai, un tappeto di ombrelli di persone che stavano lì sotto una pioggia battente a gennaio. E mi sono detto che forse per sentirsi uno spettacolo gratis c’erano modi meno scomodi. E il giorno dopo la stessa scena in Veneto, a Padova mi pare, ma stavolta sotto la neve. Allora ho capito che non ero davanti a un topolino: era proprio un elefante. C’era in campo un’altra forza che portava quelle persone a sfidare la pioggia e la neve d’inverno, che non c’era niente da ridere anche se sul palco c’era un ex comico, che quelli volevano cambiare il mondo, a modo loro, con le ingenuità e gli errori che fanno spesso quelli che pensano di cambiare le cose, ma questo volevano fare. Cambiare le cose, un obiettivo che dava loro una forza per cui la pioggia e la neve non ti facevano nulla. Erano tanti, erano determinati e noi, che per mestiere raccontiamo storie vere, non l’avevamo capito.

Nel corso del mese di Italia2013.me l’ascolto della rete ha continuato a darci indicazioni essenziali che trovate nel libro: la centralità di Berlusconi nelle discussioni, l’opacità della proposta politica di Bersani, il declino dell’appeal di Monti. Ma è stato ancora su Grillo che sono venute le informazioni più chiare. Il giorno del voto, sempre su Instagram, centinaia di ragazzi si sono fotografati raccontando la loro prima volta di elettori. Un piccolo esercito di quei giovani disillusi, distratti, menefreghisti di cui leggiamo sempre e che invece erano fieri di aver votato e di aver votato per cambiare le cose. Non erano tutti grillini, questo è certo, ma in tanti avevano votato per una idea radicale di cambiamento. Quella gallery di facce ci diceva meglio di qualunque exit poll che il moVimento 5 Stelle stava per fare il botto.

È stato detto da tutti gli osservatori che questa campagna elettorale cambierà per sempre la politica nel nostro paese. Noi ci auguriamo che possa cambiare in meglio anche il giornalismo. Nessuno di noi è in grado di dare lezioni, tutti chi più chi meno abbiamo sbagliato. Ma quello che conta è che adesso abbiamo l’occasione di cambiare, provare a fare il nostro mestiere in modo diverso. Che poi non vuol dire inventarsi qualche diavoleria tecnologica. La rete è solo uno strumento, formidabile, in più per avere le nostre antenne sulla società. È quel satellite per le previsioni del tempo sociale che ci mancava. Il resto è fatto dalla voglia di capire cosa succede e dalle infinite storie da raccontare che ci sono nell’aria. Il resto è giornalismo. Farlo bene, farlo meglio, farebbe bene a tutti.

(questa è l’introduzione di Social Winner. L’ebook, che ho curato con Marco Pratellesi, è una raccolta di brevi saggi di tanti autori con le analisi dei dati, la ricostruzione delle storie, e i tweet memorabili delle elezioni politiche 2013)

Riccardo Luna

Giornalista, sono stato il primo direttore dell'edizione italiana di Wired e il promotore della candidatura di Internet al Nobel per la Pace. Su Twitter sono @riccardowired Per segnalare storie di innovatori scrivetemi qui riccardoluna@ymail.com. La raccolta dei miei articoli per Wired è un social-ebook scaricabile da www.addeditore.it.