Poter scrivere che non so più che cosa scrivere
Una newsletter di
Poter scrivere che non so più che cosa scrivere
Michele Serra
Martedì 19 settembre 2023

Poter scrivere che non so più che cosa scrivere

Migranti arrivati dal Nordafrica a Lampedusa vengono portati su una nave per essere trasferiti, 15 settembre 2023 (ANSA/CIRO FUSCO)
Migranti arrivati dal Nordafrica a Lampedusa vengono portati su una nave per essere trasferiti, 15 settembre 2023 (ANSA/CIRO FUSCO)

La mia prima Amaca sui migranti uscì su Repubblica nel 1998, il 4 di gennaio. L’ho poi inserita nel testo del monologo che porto in teatro accompagnato da una vacca frisona in grandezza naturale. Repliche interrotte per sfinimento del protagonista – la vacca invece era pronta per nuove avventure, forse perché è di resina e non conosce fatica.

L’argomento del mio monologo è la vanità delle parole. La fatica di scrivere. E alla fine, certo, l’importanza di farlo ugualmente. Nel caso in questione, la vanità delle parole è dimostrata dal fatto che quell’Amaca sui migranti di venticinque anni fa (un quarto di secolo, mica poco) potrei ripubblicarla pari pari domattina e nessuno se ne accorgerebbe, nemmeno io. C’era già tutto, venticinque anni fa: la cosiddetta invasione, l’esposizione geografica dell’Italia alla stessa (“è più facile approdare a Lampedusa che in Lussemburgo”, scrivevo), l’incresciosa mancanza di una politica europea degna di questo nome. E nel ‘98 erano già passati sette anni, per giunta, dal primo segnale clamoroso che eravamo entrati, anche nel nostro angolo di mondo, in un evo di migrazioni di massa.

Parlo dell’arrivo a Bari della nave mercantile Vlora, nell’agosto del 1991, così gremita di albanesi (circa ventimila, si disse), in prevalenza ragazzi, che si stentava a credere alle immagini: incredibile visu! Niente si distingueva più, di quella nave, tanto era gremita di esseri umani. Pareva una nave fatta di esseri umani, che si erano aggregati così densamente da costituirsi in bastimento e attraversare l’Adriatico. L’aggettivo “biblico”, una volta tanto, venne usato dalle cronache a proposito. Non era l’enfasi, era la carne a parlare.

Credo di avere scritto abbastanza poco, da allora ad oggi, a proposito dei migranti. Poco in proporzione all’enormità del fenomeno: è qualcosa che sta cambiando il mondo, anzi l’ha già cambiato. Su altri argomenti (forse troppi) avevo e ho opinioni solide (forse troppe). Su questo invece dispongo di tonnellate di sentimenti. Che sono, nella vita, molto importanti. Ma spingono, il più delle volte, verso una scrittura retorica e ripetitiva. Povera di concretezza.
Si può dire – dobbiamo dirlo – della solidarietà umana, dell’istinto a soccorrere chi annega e di quanto abominevole sia non farlo. Si può dire – dobbiamo dirlo – dell’importanza del diritto del mare, del dovere dell’accoglienza, dell’utilità dell’integrazione. Si può dire – dobbiamo dirlo – dell’odiosità e della stupidità delle motivazioni di “integrità razziale” di chi è contrario all’accoglienza. Si può dire – dobbiamo dirlo – che solo uno stupido può pensare di risolvere il problema, perché non è un problema, è uno sconvolgimento strutturale dell’assetto del mondo, e non può essere “risolto”. Può essere, bene che vada, governato.

Ma dette queste cose cinque, dieci, cento volte, ogni volta toccati nel profondo da immagini di morte e di segregazione, si sente che manca, al nostro discorso, qualcosa di importante: manca aggiungere qualcosa di operativo, un’idea intelligente, un pensiero nuovo. Manca quel tocco, anche piccolo, di “mai sentito” che rende meno prevedibile quello che stai per dire.
Il già detto, sui migranti, è ormai un vero e proprio monumento all’inutilità della parola. Il già detto dei gretti quanto il già detto dei generosi. E la parola politica non fa eccezione, non è meno “già detta” della parola giornalistica. L’abbaio ostile di chi vuole blindare le frontiere (i cani abbaiano soprattutto quando hanno paura) è identico dagli anni Novanta. L’indignazione che si leva contro quell’abbaio è anche lei identica dagli anni Novanta. E il fatto che io la condivida, quell’indignazione, non mi impedisce di considerarla logora.
A peggiorare la situazione c’è l’abitudine di moltissimi politici (quasi tutti?) a rinfacciarsi a turno responsabilità e inefficienze che magari ci sono – i viaggi di Meloni in Tunisia si sono rivelati inutili e forse dannosi – ma sono pagliuzze rispetto alle dimensioni titaniche della questione: si tratta dello spostamento incontrollato e ininterrotto di molti milioni di persone. Solo i profughi siriani sono, a seconda delle fonti, tra i dodici e i quindici milioni. Siriani ancora in Siria: circa venti milioni. Fate una botta di conti e ditemi se non è un mutamento che cambierà l’umanità per sempre: la sua composizione, la sua economia, la sua cultura, le sue abitudini, il suo destino.

Penso che una newsletter, a differenza di un giornale, sia fatta anche per questo: poter scrivere che non so più che cosa scrivere, a proposito dei migranti. Esattamente come voi guardo i telegiornali, parlo con gli amici, aspetto di sentire, prima o poi, un discorso o anche solo una frase che mi aiuti a pensare: forse questa è la strada giusta. Nel frattempo rileggo la mia Amaca di venticinque anni fa e penso che sì, in effetti, partendo dall’Africa è più facile approdare a Lampedusa che in Lussemburgo.

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Sabato sera ero alla Festa dell’Unità di Modena per intervistare Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna nonché del PD. Ne ho approfittato per chiedere anche a lui, in quanto persona informata dei fatti, perché la sinistra fa così fatica a dire cose semplici: era il tema di Ok Boomer! della settimana scorsa. Mi ha risposto più o meno così (la sintesi è mia): se uno sa bene che cosa dire, riesce a dirlo in modo abbastanza semplice e chiaro. Se non sa che cosa dire, ci mette un’ora e non riesce a farsi capire. Se ne deduce (deduzione mia) che il problema fondamentale della sinistra, almeno fin qui, non è come dire le cose; è non sapere bene che cosa dire. È un poco una semplificazione (appunto), ma mi sembra che il pragmatico Bonaccini abbia, nel merito, una posizione abbastanza simile a quella espressa in alcune delle lettere sottostanti. Con qualche eccezione e qualche divagazione.

“Mi viene un dubbio: non è che anche la conquista del consenso sia questione complessa? E se conquistarlo con la demagogia e la superficialità come fa la destra non risolve i problemi, però non li risolve neppure la profondità di una sinistra senza consensi? Allora, se invece di mostrificare un approccio realista – riformista, direbbe qualcuno – si stesse ben saldi con i piedi per terra, dando soluzioni praticabili e non ideologiche? Vedi un po’ se non sarebbe meglio…”.
Claudio Poli

“Credo che sintetizzare qualcosa ed esserne pienamente soddisfatti sia possibile solo quando, quella cosa, non la si conosce bene. Come può uno slogan andare a braccetto con la complessità? Condivido il desiderio di rigirare le stesse armi contro questi cialtroni, ma temo non sia possibile farlo. Qualcuno ci ha provato ma poi ci si è accorti che stava a sinistra per sbaglio. Mannaggia alla complessità, è ovunque, appena si inizia a grattare la superficie delle cose… Io non ho avuto nonni che mi hanno raccontato della guerra o della resistenza, il poco che so arriva da scuola, film e curiosità personale, quindi non mi ritengo un grande esperto. Ma quando si parla della storia di fascismo e nazismo, mi sembra si parli un po’ di questo: gente che si è lasciata convincere da ‘soluzioni’ semplici a problemi complessi. Non masse di stronzi crudeli e mostruosi, ma banali leggeroni che pensavano ad altro, profondamente distratti e abbastanza in fissa sul proprio piccolo orto. È il mio lato boomer quello che pensa che siamo destinati a schiantarci, salvo poi accorgerci dopo del danno per poi dimenticarcelo e riprendere la rincorsa verso il successivo muro?”
Stefano

“A mio parere l’unico approccio alla complessità è quello, faticoso, di tirare tutti i fili e cercare di sbrogliarli uno ad uno. Allora: educazione, lavoro, tasse, sanità, pensioni, degrado ambientale, welfare e servizi sociali (giusto per citare i ‘fili’ a mio parere più importanti) necessitano una nuova elaborazione da parte della sinistra. Non parlo affatto di un programma elettorale, parlo della elaborazione di una moderna filosofia politica che consideri la società da una prospettiva tesa a migliorare il benessere di tutti gestendo al meglio le risorse esistenti. Sembra banale, ma a mio parere finché non si affronta integralmente questo bandolo, nella sua versione attuale, la matassa resterà per sempre, inestricabilmente complessa”.
Mauro Saveri, classe 1963

“Soluzione semplice a problemi complessi, mi pare che sia attualmente la via preferita in ogni ambito (informazione, economia, ambiente, problemi sociali…) non solo dalla politica (destra ma ahimè anche sinistra), ma da noi stessi cittadini ed elettori, anche nella nostra vita di tutti i giorni. Non penso sia una questione generazionale o legata alla comparsa di internet e alle risposte immediate che la rete può dare. Mi pare piuttosto una tendenza che è sempre stata propria della società umana. Eppure, è la curiosità che ci ha permesso di evolverci. Avremmo potuto rimanere sulla superficie delle cose, ma ci siamo chiesti il perché, e nel cercare risposte, siamo andati sempre più lontano, trovando ad ogni risposta tanti nuovi perché. Non so se il cambiamento climatico ci lascerà il tempo di chiederci il perché dello stesso, e di poterlo quindi affrontare. Spero però di sì. Perché arrivi una nuova ondata di complessità da sviscerare per le future generazioni. Forse l’umanità si porta dietro un retaggio ineliminabile di meschinità e grettezza, ma mi piace pensare che i posteri saranno migliori di noi. Magari di poco, ma lo saranno. E spero sia loro, l’ardua sentenza”.
Federico

“Il pensiero ‘complesso’, ci insegna tutta l’opera di Edgar Morin, non comporta l’immobilismo. Non è obbligatorio ricorrere agli slogan, basta battersi per premesse operative e chiare su POCHI punti fondamentali, identitari, di una visione quantomeno progressista. Come si sta facendo per il salario minimo o la difesa della sanità pubblica, ad esempio. Col rischio di essere in minoranza ma convinti che un obiettivo semplice come ‘educazione alla affettività e alla sessualità, dalla terza elementare’ può essere aggregante e alla lunga raggiungibile”.
Francesco, quasi 73.

“Partecipo da subito al concorso nazionale: regala uno slogan decente alla sinistra. Il tema è quello della lotta all’evasione fiscale. Immagino una campagna con lo slogan ‘L’EVASORE RUBA IL TUO BENESSERE’ e claim del tipo: ‘L’EVASORE TI RUBA LA SALUTE perché pretende una sanità migliore, ma non paga le tasse per averla e a rimetterci sei anche tu’. Oppure: ‘L’EVASORE TI RUBA L’ISTRUZIONE perché pretende scuole sicure ed efficienti, ma non paga le tasse per averle’. E via di seguito per tutti i principali servizi dello Stato, sicurezza, welfare, infrastrutture. La campagna culturale andrebbe mantenuta fino a quando si vedano risultati concreti e gli italiani comprendano che l’evasore, grande o piccolo che sia, non è ‘il furbo’, è solo un farabutto”.
Giovanni Moser (79enne)

“Per arrivare a una sintesi occorre sempre un’analisi, possibilmente approfondita e sostenuta da studi, metodo, prove attendibili e statistiche, che portino a valutare in modo oggettivo in base ai calcoli delle probabilità. Certo è una roba da mal di testa, ma i cosiddetti ‘bias’, ovvero pregiudizi, che portano un po’ tutti a esprimere giudizi sbrigativi, ‘di pancia’, e a fare di conseguenza scelte frettolose, sbagliate, fanno purtroppo parte di questo mondo e andrebbero contrastati con solidi argomenti e senza cercare scorciatoie. Il bellissimo libro di Daniel Kahneman ‘Pensieri lenti e veloci’, basato su anni di studi e test, lo descrive molto bene: il pensiero veloce è quello primitivo, basico, che ci permette di decidere rapidamente in merito ad azioni e scelte semplici e ordinarie, nonché ad essere pronti in caso di pericolo e quindi salvarci la vita. Il pensiero lento è quello razionale, logico, matematico che andrebbe utilizzato prima di esprimere giudizi o fare scelte avventate quando abbiamo a che fare con la complessità”.
“È un pensiero ‘pigro’, richiede tempo, rifugge dall’emotività e necessita di basi logiche. Rinviare un giudizio, una scelta, al fine di avere il quadro chiaro della situazione, significa evitare tanti danni; economici, sociali, legislativi, politici, psicologici, anche in ambito affettivo e famigliare.
Significa soprattutto non essere schiavi di slogan che solleticano appunto i nostri bias. Se leggiamo di donne e bambini abusati, seguiamo chi grida alla castrazione chimica, pensando che risolva la questione. Se si parla di furti e aggressioni, chiediamo armi per tutti, e così via. Possiamo forse catalogare il pensiero di destra come quello ‘veloce’ e primitivo, mai evolutosi, rimasto utile solo per reagire prontamente al pericolo che potremmo correre in una foresta selvaggia; mentre dalla sinistra si dovrebbe pretendere il pensiero ‘lento’ e razionale da contrapporre, al fine di affrontare le complessità attuali e future. Richiede tempo e fatica ma non vedo altre possibilità per non spegnere definitivamente i ‘lumi’ e ritornare indietro di secoli, dominati da superstizioni, pregiudizi, dogmi”.
Laura Beltramino

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Lo so, l’estate sta finendo (citazione dei Righeira, chissà se il peraltro direttore la approva) e dunque dovrei piantarla anche con i miei techetechetè. Ma non resisto, ho ritrovato una “satira preventiva” del 2020 su Pontida e i leghisti e dunque ho anche il pretesto dell’attualità…

Il fenomeno degli assessori leghisti armati, amplificato strumentalmente dai media, è in realtà sotto controllo. Si tratta di poche migliaia di persone, quasi tutte con porto d’armi autocertificato (la popolare Sciopa Card voluta da Umberto Bossi). Niente a che vedere con il presunto Far West del quale parlano i giornali benpensanti: si tratta in realtà di un vero e proprio esercito ausiliario, disciplinato, con forte spirito di corpo. Ogni anno a Pontida il corteo degli Assessori Armati, che sfilano a passo di corsa tra due ali di folla terrorizzata, è uno dei momenti più suggestivi della manifestazione.

Le eccellenze – Gabriel Pampaluga, vicesindaco leghista di Palude Bassa, nel Ferrarese, detiene una bomba atomica, regolarmente denunciata, ma ha promesso di usarla solo in caso di estremo pericolo per la sua comunità. La custodisce nella sua tavernetta perlinata (Pampaluga è uno dei più noti imprenditori nel ramo della perlinatura di tavernette) in condizioni di totale sicurezza: la bomba è affidata all’anziana madre, che la tiene lontana dai fornelli e la lucida ogni settimana con il Sidol. È finito sui giornali anche Manuel Sbrendolo, assessore all’Ostilità in Valchiusa, collezionista di armi d’epoca, per avere puntato una colubrina contro l’Ufficio delle Imposte. “Un atto dimostrativo, privo di qualunque intenzione violenta – spiega Sbrendolo – e anzi con forti intenzioni didattiche: la colubrina apparteneva a un galeone spagnolo, solo per pulirla e caricarla ci vogliono un paio d’ore e la detonazione è spesso retroversa, con fuoruscita del proiettile verso lo sparatore. Sono disposto a liberarmene solo per regalarla alla scuola elementare del paese”.

Il dibattito – Armi da fuoco oppure arma bianca, come nelle tradizioni celtiche? Il dibattito è molto acceso. Giordan Papozzi, assessore leghista a Fulminate, nel Varesotto, ha decapitato un borseggiatore con un’alabarda per legittima difesa ed è il leader riconosciuto dell’ala tradizionalista della Lega: balestre, pugnali, sciabole, draghinasse, baionette le armi in uso a questi militanti animosi e romantici. “Infilzare un ladro con una freccia, a distanza, mentre fugge tra i capannoni, riporta la lotta per la vita alla sua dimensione più schietta”, spiega Giordan. Si vocifera di virtuosi in grado di fermare un fuggiasco usando solo normali freccette da pub. “È difficile – aggiunge Giordan – ma se si colpisce un’arteria il criminale muore dissanguato, soprattutto se si lascia il muletto di traverso sulla provinciale per ritardare l’arrivo dei soccorsi”.

Lo sparo – Sull’esempio della National Rifle Association, ecco la Lega del Vecio Fusil, nata in Trentino per merito di appassionati della caccia all’orso. Raduna tutti i sinceri patrioti che detengono armi da fuoco a scopo difensivo. Il compianto senatore leghista Bartolo Zinconato, inventore della pesca alla trota con la doppietta, seppe fare dell’uso delle armi da fuoco un passaggio decisivo per la modernizzazione della Lega. “Basta con gli elmi cornuti, gli spadoni, le donne non depilate. Scannare le persone come capretti non è degno di un popolo civile. Sparare a chi ci infastidisce significa rispondere a un dovere civico, ma senza inutili crudeltà”. Finito ingiustamente sotto processo con l’accusa di sniffare polvere da sparo, Zinconato dimostrò la sua innocenza e morì di crepacuore quando il figlio gli confidò non solo di essere gay, ma di essere innamorato di un topo d’appartamenti.

A mani nude – Strangolare un malvivente a mani nude: per molti leghisti è solo un sogno, per l’assessore alla Disciplina del Comune di Valbruta, Albert Troncolato, è stata la grande occasione della vita. Portato in trionfo dalla popolazione, ha fondato la corrente leghista “A mani nude”, che si rivolge soprattutto ai giovani, ansiosi di quella purezza di ideali che i tempi moderni non consentono.