Ma alberi
Una newsletter di
Ma alberi
Michele Serra
Martedì 1 luglio 2025

Ma alberi

La stragrande maggioranza della biomassa del pianeta – ovvero, di tutto ciò che è vivo – è costituito da vegetali (le stime variano molto, alcune ricerche parlano dell’80 per cento, altre perfino oltre). Noi bestie, compresi gli insetti, i pesci e tutto il resto, siamo una ristretta minoranza, anche se molto invadente, vorace, rumorosa»

Ho sempre considerato un po’ strani quelli che abbracciano gli alberi ma – quando sono sicuro che nessuno mi veda – mi è capitato di farlo anche io. Credo si tratti sostanzialmente di un cambio di dimensione (o meglio: del tentativo molto velleitario, eppure affascinante, di un cambio di dimensione). La stragrande maggioranza della biomassa del pianeta – ovvero, di tutto ciò che è vivo – è costituito da vegetali (le stime variano molto, alcune ricerche parlano dell’80 per cento, altre perfino oltre).
Noi bestie, compresi gli insetti, i pesci e tutto il resto, siamo una ristretta minoranza, anche se molto invadente, vorace, rumorosa. E dunque immergersi in un bosco, o cercare uno stretto contatto con un grande albero, o attraversare una savana, un pascolo, una brughiera, vuol dire sentirsi parte della vita mainstream, quella che tutto travolge e accoglie, che di tutto si nutre ed è nutrimento di tutti.

Se per esempio vi capita di passare sulle Madonie non vi perdete l’incredibile foresta degli agrifogli giganti, cattedrale naturale come poche altre in Europa. Io ci sono salito da Castelbuono, uno degli infiniti borghi italiani che quando ci capiti ti domandi come è possibile non averlo saputo prima, non esserci stato prima. Nemmeno sapevo (e sicuramente non lo sapete nemmeno voi) che il locale castello trecentesco fu uno dei primissimi casi di crowdfunding in Italia, quando nemmeno si chiamava crowdfunding. Nel 1920 il sindaco, Mariano Raimondi, fece una laboriosa colletta popolare per rilevare il castello dalla famiglia proprietaria, i principi Ventimiglia. Soldo per soldo, compresa qualche rimessa da castelbuonesi emigrati in America, ci riuscì, e da allora il castello è proprietà dei cittadini, che ne sono molto orgogliosi.

La foresta degli agrifogli, che si trova nel territorio di Petralia Soprana, è un vero e proprio mistero naturale: raramente, specie alle nostre latitudini, l’agrifoglio diventa un grande albero, e questi sono grandissimi. I tronchi enormi e ritorti spingono la chioma a cercare la luce sopra i venti metri, sotto ci sei tu, immerso nell’ombra più fitta e nel silenzio, e il sole puoi solo immaginarlo. Per capacitarti che si tratta davvero di agrifogli (è quell’arbusto con le foglie pungenti e le bacche rosse che nei paesi nordici sono simbolo del Natale) devi guardare le foglie e le prime bacche, che in autunno saranno rosse fiammanti. La disposizione degli alberi, in uno spazio così precisamente delimitato, sembra opera di un progettista – invece qui ha lavorato solamente la natura.

Restando in tema di alberi, quasi all’altro capo della Sicilia, tra Acireale e Giarre, tra l’Etna e la costa ionica, c’è Radicepura. Al tempo stesso orto botanico, fondazione, centro di sviluppo e ricerca per giardinieri e progettisti del paesaggio, sede di un festival biennale, luogo di confine anche visivo tra il Mediterraneo e i Tropici. È dovuto al mecenatismo della famiglia Faro, dinastia di vivaisti che esporta piante in tutto il mondo.

Se amate i giardini – la loro architettura, l’equilibrio ingegnoso e spesso ammirevole tra manipolazione umana e vita naturale – una visita, prima o poi, dovete farla. Quando ci sono passato io, pochi giorni fa, erano “esposti”, ovvero realizzati sul posto, dieci progetti di giovani architetti del paesaggio, vincitori del festival biennale.

Come avrete capito, ho passato qualche giorno in Sicilia. Le leccete delle Madonie e dei Nebrodi, la fantastica fioritura di ferule e ginestre ce le ho ancora negli occhi, qui all’aeroporto di Punta Raisi, mentre sto per ritornare nella canicola di casa. Poi vi racconterò di altre radici – quelle umane – perché la meta ultima del viaggio era, sempre nelle Madonie, Polizzi Generosa, terra d’origine dei miei avi di parte materna, gli Errante. Ma mi ci vuole un poco di tempo per metabolizzare: le radici, specie se sono intricate, sono una faccenda molto complicata. Sarà il tema di lunedì prossimo.

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La tecno-ansia che ha animato gli ultimi due Ok Boomer! (soprattutto per colpa mia…) questa settimana deve fare i conti con la sua valorosa opposizione. Qui sotto troverete un drappello di non ansiosi, tecno-ottimisti, che bilanciano decisamente il dibattito, fino a qui preoccupato e parzialmente catastrofista. Prima di dare la parola a loro, una domanda che rivolgo a tutti, in specie ai probiviri del Post: come la chiamiamo, AI secondo la consecutio americana (Artificial Intelligence) o IA, Intelligenza Artificiale, come dovremmo noi di lingua neolatina? Faccio presente che già ai tempi dell’insorgenza dell’AIDS l’Italia si distinse dai cugini francesi e spagnoli adottando, unico paese neolatino, l’acronimo anglosassone. Ma in italiano dovrebbe dirsi: Sindrome di Immuno Deficienza Acquisita. SIDA, come dicono i francesi e i popoli di lingua ispanica. Propendo dunque per IA, intelligenza artificiale. In attesa di indicazioni autorevoli.

“Mi trovo in disaccordo con la tua penultima newsletter e soprattutto con le risposte della community. Ammetto di essere un po’ di parte, perché sono uno studente di dottorato di ricerca in Informatica e mi occupo di questioni legate all’Intelligenza Artificiale. Mi sembra ci sia molta confusione tra due aspetti che vedo separati: la raccolta dei cosiddetti ‘big data’ e la profilazione degli utenti da parte delle big tech, da un lato; e l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale dall’altro. La profilazione degli utenti avveniva anche in epoca pre-AI, attraverso la nostra semplice navigazione su internet, in particolare sui social network. Recentemente ho assistito a una talk che intersecava filosofia e informatica, concludendo che sia impossibile, nel mondo moderno, proteggersi dalla profilazione delle big tech per due motivi: la quantità di dati che lasciamo come briciole di pane online e la quantità di dati che persone ‘simili’ a noi lasciano online, fornendo così molte informazioni anche su di noi. Ammetto che questo tipo di discorso possa fare paura, ma mi sembra che siamo in un campo in cui non abbiamo potere d’azione: possiamo solo esserne consapevoli e cercare di comportarci di conseguenza, per esempio cercando, con la forza dell’intelletto, di evitare di farci manipolare da questi sistemi”.
“Per quanto riguarda l’AI, sono un grande fan: la sto usando sempre di più e mi rendo conto di quanto aiuti il mio lavoro, permettendomi anche di lavorare meno e concentrarmi su ciò che mi piace e considero di maggior valore. Certo, penso sia necessario un utilizzo consapevole e limitato ad alcuni task. Io, per esempio, la uso per aiutarmi nella scrittura di codice, per l’editing di testi scritti (da me) e per lo scambio di idee. Non la utilizzo per ottenere informazioni né per farmi riassumere materiale che devo leggere, perché voglio essere sicuro di cogliere tutte le informazioni realmente importanti. È uscito un articolo scientifico di un gruppo del MIT in cui viene dimostrato che l’utilizzo di ChatGPT riduce l’attività cerebrale. All’inizio mi sono preoccupato, ma riflettendoci meglio mi è venuto in mente questo paragone: oggi, con la diffusione di stili di vita sempre più sedentari, si è sviluppata un’attenzione alla salute del corpo attraverso l’attività fisica. Mi sono immaginato un mondo futuro in cui l’AI possa sostituirci in alcune attività, e noi umani manteniamo la nostra mente attiva allenandola, proprio come oggi facciamo con il corpo. In alto i cuori”.
Marco

“Vorrei dire a quanti propongono come salvifico – per tenere fuori dai piedi l’Intelligenza Artificiale – il passaggio ai programmi del mondo del ‘software libero’ di non farsi troppe illusioni, è solo questione di tempo. Non sono un giovane nerd, sono un anziano fisico classe 1954 che ha vissuto l’avvento delle calcolatrici elettroniche (ho avuto la mia al primo anno di università, nel 1973), dei microprocessori, dei personal computer, della posta elettronica, della navigazione su internet, dei telefoni cellulari, degli smartphone, dell’IA. Utilizzo Linux e programmi ‘liberi’ di produttività individuale fin dall’inizio del 2014, quindi so di cosa parlo. Ve lo immaginereste un costruttore di piastre di cottura che, volendo essere ‘artigianale’ e non conformarsi alle scelte della grande industria, proponesse di accendere la fiamma strofinando vicino al fornello due pietre focaie? O un costruttore di automobili che prevedesse sui suoi modelli una messa in moto solo a manovella? La tecnologia prima o poi si impone sempre, se fornisce soluzioni che ci rendono la vita più comoda e sicura e/o ci fanno risparmiare tempo”.
“Ecco, è proprio su questo concetto del tempo risparmiato che vorrei portare il discorso. Da sempre le innovazioni 1) ci fanno risparmiare tempo, permettendoci di averne di più a disposizione per ciò che ci piace fare, quello cioè che SCEGLIAMO di fare per nostro diletto e appagamento; oppure 2) ci rendono la vita più sicura, rendendo più rapidi ed efficaci le soluzioni e gli interventi in caso di problemi, per esempio in caso di incidenti, emergenze mediche ecc. Quante vite avranno salvato i telefonini consentendo di chiamare rapidissimamente i soccorsi? Lo stesso avverrà con l’IA, se solo ci mettiamo nella disposizione di utilizzarla con correttezza ma anche curiosità, invece che rifiutarla in blocco borbottando ‘dove andremo a finire’. Prestiamo attenzione a chi cediamo i nostri dati, esercitiamo il pensiero critico nei confronti dei prodotti dell’IA, sosteniamo i politici che propongono leggi e regolamenti pensati non per stroncarne lo sviluppo e la diffusione, ma per creare i giusti paletti per un uso responsabile nell’interesse generale”.
Daniele Andreuccetti

“Sono uno sviluppatore di algoritmi AI da una decina di anni, quando prima si chiamava machine learning, poi deep learning, ora AI generativa o semplicemente AI. Ho fatto ricerca in varie università, ho lavorato per le big tech negli Stati Uniti e ora lavoro per un’azienda italiana leader nel suo settore, che usa l’intelligenza artificiale per migliorare i propri prodotti. Come dite sempre al Post, finiamo sempre per prestare più attenzione e interesse alle notizie negative che a quelle positive, è un nostro bias. Ecco, nel condividere le tante preoccupazioni dei tuoi lettori, vorrei spezzare una lancia a favore dell’AI e dei progressi che ci ha permesso di fare in tanti campi in modo rapidissimo, dalla diagnosi di malattie alla identificazione di nuove terapie, dal ridurre drasticamente le file agli aeroporti in attesa del controllo passaporti all’identificazione di minacce nelle nostre città. L’AI è presente nelle nostre vite da ben prima che WhatsApp aggiungesse un tasto per renderla più evidente e ci permettesse di interagirci più direttamente. E mentre da un lato ci diciamo che la ripudiamo, dall’altro magari facciamo la fila per comprare l’ultimo iPhone che fa le foto belle, senza sapere che è l’AI ad applicare algoritmi di fotoritocco per renderle tali. O attiviamo il cruise control nelle nostre traversate autostradali, contenti che l’auto mantenga la distanza di sicurezza per noi. Da lettore e assiduo ascoltatore di podcast, consiglio vivamente l’ascolto di Geniale per capire i contro ma anche un po’ di pro della AI e del perché avere tanti dati a disposizione può fare anche del bene. A mio avviso, l’AI dovrebbe essere un servizio pubblico, come l’acqua (vi ricordate il referendum del 2011?), e i governi dovrebbero stanziare finanziamenti per permetterci di sviluppare modelli generativi aperti e staccati dalle logiche del profitto a tutti i costi”.
Davide V

“Ho letto la newsletter ‘Con calma e per favore’ e i commenti, e devo dire che dissento totalmente. Sono un ex del settore (IBM e Microsoft) e ho trovato illuminante il commento di Walter Quattrociocchi.
Quando sento che anche il Papa discetta di AI vengo colto dallo sgomento”.
Teodoro Marinucci

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Da tempo considero capolavori di umorismo involontario i dischi risponditori (non so se si chiamano così) dietro i quali le aziende si trincerano pur di non rispondere personalmente agli utenti. Tipo: “digiti 1 per parlare con l’ufficio commerciale, digiti 2 per cambiare contratto, digiti 3 per assistenza tecnica”, eccetera, fino alla fatidica musichetta che ti lascia sospeso nel nulla. Il pretesto è avviare l’utente allo “sportello” virtuale giusto, il risultato è che quasi sempre si rimane lì nella disperata attesa dell’unica opzione che può darci conforto: parlare con l’operatrice o l’operatore, essere infine soccorsi dalla voce umana.

Alcune delle opzioni proposte dal “disco” di turno sono insensate, o surreali, o esilaranti. Ho trovato quasi insuperabile, telefonando al numero verde della mia carta di credito, questa opzione: “Per informazioni su chi sei, digiti 3”. È la domanda inutilmente posta dai filosofi lungo i secoli: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Beh, bastava digitare 3 e ci saremmo risparmiata tutta quella fatica e tutti quei libroni.

Sempre restando nell’ambito “risposte automatiche”, da quando gestisco personalmente la mail di Ok Boomer! (un passo decisivo sulla via della mia emancipazione tecnologica) mi capita di leggere, in rapida serie, decine e decine di risposte automatiche da parte degli abbonati in quel momento “fuori stanza”, come si diceva una volta. È un breve viaggio, anche molto divertente, nelle infinite maniere con le quali proviamo a gestire la nostra indisponibilità: chi dolendosene, chi rivendicandola, chi scusandosi, chi offrendo minuziose alternative per essere contattato (non ricordo in quale film del secolo scorso, in epoca pre-telefonino, Woody Allen, telefonando alla segretaria, diceva qualcosa tipo “dalle 9 alle 10:30 mi trova a questo numero, dalle 11 all’ora di pranzo sono reperibile dal barbiere, dalle 14 per contattarmi chiami mia moglie, dalle 17 alle 17:30 non sono rintracciabile”, eccetera.

Tra le vostre AA (automatic answer) o meglio RA (risposta automatica), omettendo ovviamente l’autore, mi colpiscono quelle del tutto improvvide dal punto di vista cronologico. Le tre seguenti sono arrivate lunedì scorso, 23 giugno, e sono segno di una invidiabile mancanza di ansia.

“Sono assente dall’Ufficio per ferie fino al 5 gennaio 2024”
“Hello, I’m currently out of office for a business trip, returning on June 20th”
“Sono in ferie dal 3 agosto al 19 agosto”.

Molte, nel solco del Woody Allen di cui sopra, sono lunghissime, e rimandano ad altri indirizzi email e numeri telefonici, segreterie e uffici, così da non dare la brutta impressione che uno molli lì tutto e se ne vada senza troppi scrupoli. La tendenza contraria (“non ci sono, fatevene una ragione”) è magnificamente espressa in questa RA che mi ha semplicemente estasiato per la sua brutale sintesi:
“Buongiorno, oggi non sono presente. Saluti”.
C’è tutto il necessario. Perfino i saluti. Da ultimo, un esempio di interpunzione autorevole, per la serie: nessuno dica che io non avevo avvertito:

“ATTENZIONE!!!! La presente casella di posta elettronica non è più attiva”.

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Un refuso fenomenale (per la serie: mai visto prima d’ora!) è quello di PerugiaToday che segnala Stefania:

IL MINIMETRO SARÀ LA SPINA D’ORSALE
DEL TRASPORTO IN CENTRO

Più ordinario, ma sempre di grande efficacia, quest’altro refuso che Patrizia ha trovato sulla rivista ArtsLife:

LE DIECI OPERE PIÙ SIGNIFICATIVE E MONUMENTALI
REALIZZATE DA ARNALDO POMODORO NELLA SUA CORRIERA

Conoscendo la mole delle opere di Pomodoro, si immagina monumentale anche la corriera. Dal Cittadino di Lodi, Sergio segnala un ulteriore caso di accanimento giudiziario:

MORTO SUL LAVORO A 18 ANNI:
CHIESTO IL RINVIO A GIUDIZIO

Infine Andrea invia questo suggestivo titolo da Tuttogolfo.it, quasi certamente imputabile all’età acerba del suo autore, ignaro delle passate miserie nazionali:

È ESTATE, ANCHE A GAETA
SI RIAPRONO LE CASE CHIUSE

Non mi resta che dirvi: in alto i cuori, e non fatevi intimidire dal caldo. Lui passa, voi rimanete.