Internazionalismo e papato
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Internazionalismo e papato
Michele Serra
Martedì 6 maggio 2025

Internazionalismo e papato

«La Chiesa è forse la sola istituzione transnazionale che regga la sfida del nazionalismo trionfante»

Cardinali sotto il colonnato di San Pietro, 3 maggio 2025 (Antonio Masiello/Getty Images)
Cardinali sotto il colonnato di San Pietro, 3 maggio 2025 (Antonio Masiello/Getty Images)

Da non credente (ma chissà perché, poi, si dice “non credente”. Credo in un sacco di cose, e il fatto di non credere che Gesù di Nazareth fosse il figlio di Dio incarnatosi in una vergine non mi sembra sufficiente per definirmi non credente). Ricomincio, dunque.
Da non cattolico, seguo l’elezione del nuovo Papa con un interesse squisitamente politico. Non mi coinvolgono le questioni dogmatiche e dottrinarie interne alla Chiesa di Roma e non ho mai condiviso lo “scandalo” che i pronunciamenti vaticani, specie in termini di condotta sessuale, di etica familiare, di interruzione della gravidanza, inducono nella società civile: se si è cattolici quei pronunciamenti hanno un peso, se non lo si è non ne hanno. Non se ne tiene conto, punto e basta. Ci si deve battere, questo sì, affinché le leggi dello Stato, che sono di tutti, siano al riparo da ogni condizionamento confessionale: la famosa laicità dello Stato. Ma non ha senso pretendere che la Chiesa pensi e dica ciò che non appartiene al suo assetto dottrinario.

Ben altro, dicevo, è l’interesse politico con il quale, e non credo di essere il solo, aspetto di sapere chi sarà il nuovo capo della Chiesa, che sarà il successore non di un papa qualunque ma di Francesco, il più ecumenico e il più evangelico dei papi che ci è capitato di conoscere. Questo interesse è ingigantito da una circostanza del tutto nuova, almeno negli ultimi ottant’anni: la Chiesa è forse la sola istituzione transnazionale che regga la sfida del nazionalismo trionfante. E dunque “ecumenico” ed “evangelico”, tradotto in politica, vuol dire che il punto di vista del papato è oggettivamente più largo di quello dei nuovi, ingombranti interessi nazionali. La Chiesa è per sua natura “globalista”. E chi altro può permettersi il lusso di esserlo, oggi, a parte il capitalismo finanziario per ragioni non certo inerenti al sentire umanitario, semmai ai porci comodi di pochi?

Non molti anni fa, le Nazioni Unite erano una presenza quasi quotidiana nei titoli dei giornali e dei telegiornali. Oggi, per ricordarmi il nome del segretario dell’ONU, devo chiederlo a Google. L’intero pacchetto delle istituzioni sovranazionali che il mondo si è dato dopo la Seconda guerra mondiale, anni nei quali pareva impossibile non riorganizzarsi al riparo dal mostro nazionalista, che aveva dilaniato l’intero pianeta, è messo drasticamente in discussione dalla risorgenza tragica dei nazional-populismi. L’Unione Europea, i tribunali internazionali, l’ONU, la FAO, l’OMS, tutto ciò che odora di internazionalismo, di globalismo, di umanitarismo, sono il bersaglio principale della nuova destra nazionalista, che ha in Putin e Trump (gemelli diversi) i suoi profeti. E fa della religione un uso tutt’altro che spirituale, men che meno umanitario: la croce, impugnata come un’arma, vale solo come stretta propaganda “patriottica”.

Il nuovo papa sarà dunque importante, anzi importantissimo, perché si ritroverà a guidare l’ormai quasi unica istituzione sovranazionale del pianeta, in termini di autorevolezza e di reale composizione del suo organigramma: i cardinali, anche grazie al lavoro di Bergoglio, sono una rappresentanza sempre meno eurocentrica, sempre più mondiale. Il dosaggio di ecumenismo (per i laici: di internazionalismo) del nuovo papa sarà determinante. Se parlerà dell’Ucraina, di Gaza, dei migranti, di pace e guerra, nel solco di Francesco, intransigente nella difesa dei deboli a prescindere da qualunque considerazione di interesse nazionale, sarà una spina nel fianco dei prepotenti, del bullismo nazionalista, dei signori della guerra. Se farà uno o più passi indietro, sarà un papa più comodo per il potere mondiale, e molto meno interessante per i non cattolici come me.

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In ogni modo, e per non perdere le buone abitudini: il conclave, come tutte le circostanze solenni, è un oggetto satirico quasi inevitabile. Nel 2005, alla vigilia dell’elezione di Joseph Ratzinger, che divenne papa con il nome di Benedetto XVI, scrissi per l’Espresso questa Satira preventiva. Forse, in qualche dettaglio, un po’ vecchiotta, ma alla luce di alcune elucubrazioni di stampa di questi giorni sull’elezione papale in corso, abbastanza autorevole.

“Cominciano a trapelare da Oltretevere le prime indiscrezioni sul successore di Giovanni Paolo II. Si perfezionano le alleanze attorno ai principali papabili.
Joseph Ratzinger – Sarebbe il primo papa tedesco dal Medioevo. Negli ultimi sette secoli non è stato possibile eleggerne altri a causa dell’alimentazione pesante, che avrebbe causato problemi durante le udienze. I suoi detrattori hanno diffuso la voce che, se eletto, prenderebbe il nome di Rapunzel I e sposterebbe il papato a Colonia, dove vive l’anziana sorella. Raffinato intellettuale, è difensore intransigente dell’ortodossia cattolica, ma sostiene l’importanza del dialogo con le altre confessioni purché parlino solo se interrogate. Ha favorevolmente impressionato le femministe la sua intenzione di ridiscutere il precetto “chi dice donna dice danno”. Gode dell’appoggio dell’Opus Dei, dell’Oktoberfest e delle gemelle Kessler.
Giacomo Biffi – Potrebbe essere la carta a sorpresa dei tradizionalisti. Difensore appassionato dell’ortodossia, ha fatto sapere che, se eletto, indosserà la tiara anche sotto la doccia. È favorevole alla scomunica degli atei e delle donne nude. Tra le riforme che ha in mente, la trasformazione delle guardie svizzere in un corpo d’assalto e il rafforzamento del battesimo, da ripetere al compimento del secondo anno di età come il richiamo dell’antipolio. In memoria dei primi martiri della cristianità, prenderebbe il nome di papa Ben Hur I. Ha l’appoggio dell’Opus Dei e della Beretta.
Juan Gutierrez – Vescovo del Guatemala, ultimo testimone della Teologia della Liberazione, propone l’abolizione della proprietà privata e l’esproprio dei latifondi. Conta sull’appoggio del sindacato dei tagliatori di corteccia e di Gianni Minà. La sua elezione è considerata improbabile perché è in carcere da 23 anni.
Huang Chao – Presule delle zone interne della Manciuria, è il principale esponente del cattolicesimo asiatico, ma dal momento che è sempre vissuto molto isolato, non lo sa. Sulla sua elezione contano i sostenitori della nuova evangelizzazione, disposti a portare il messaggio cristiano nei luoghi più impraticabili e distanti dalla fede, come la Cina comunista, i disco-pub di Marina di Ravenna e casa Tronchetti Provera. Ostile alla sua elezione l’ala tradizionalista, che ha messo in giro la diceria che un eventuale papa cinese sostituirebbe l’ostia con gli involtini primavera. Gli è d’ostacolo la lingua: parla solo cinese e scrive qualche parola in latino, ma con gli ideogrammi. Una delegazione vaticana, che lo ha incontrato di recente, ha scambiato il suo messale per un catalogo di tatuaggi autoadesivi. Ha l’appoggio dell’Opus Dei, sezione di Chinatown. In caso di elezione, il problema principale sarebbe riuscire ad avvertirlo.
Charles O’Connor – Uomo di punta del cattolicesimo americano, è vescovo di Chattanooga ed è diventato celebre perché è riuscito a raccogliere in un taccuino tutti i numeri di telefono delle chiese e delle sette cristiane d’America, che sono diverse migliaia. È un buon giocatore di scacchi. Non gli si conoscono altri meriti, ma ha l’appoggio dell’Opus Dei.
Abdul Fakir – Vescovo di Antiochia, è uomo di punta del dialogo interreligioso. Ha pregato ad Assisi con musulmani, ortodossi, ebrei, buddisti, scintoisti e perfino atei, è buon amico del Dalai Lama e conosce i riti animisti del Centrafrica, il vudù dei Caraibi e le litanie funebri dei lapponi. Sarebbe il papa ideale per un mondo globalizzato, l’unico problema è che, nel corso dei suoi viaggi, è diventato musulmano. Per perorare la sua causa e chiarire eventuali incomprensioni, le sue mogli si sono recate in Vaticano assicurando che Fakir è un ottimo padre e un buon marito. La sua elezione non è data per probabile, nonostante l’appoggio dell’Opus Dei”.

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Mi domandavo, la settimana scorsa, se gli attuali “grandi della Terra” ci appaiano mediocri per via della loro eccessiva esposizione mediatica o perché lo sono per davvero. E se anche i “grandi” del passato, qualora avessero avuto a disposizione i social, ci sarebbero sembrati così inclini alla fesseria e alla superficialità. Avete commentato in tanti, questa è una breve sintesi.

“Condivido la sua analisi relativa alla sempre minore autorevolezza dei ‘grandi della Terra’. Ma temo vada allargata anche ai meno grandi, e anche ai piccoli e piccolissimi: ho infatti la sensazione che una ‘persona specchiata, geniale e con un prodigioso intuito per il futuro’ sia difficile da trovare non solo in qualche staterello sperduto, come lei si augura, ma anche in qualche comunello strasperduto. Spero davvero che questa sia solo una visione distorta dall’essere boomer (o meglio vecchio e quindi portato a pensare che si stesse meglio prima). Però mi sento anche in colpa, io e la mia generazione: perché credo che la responsabilità di questo sfascio sia in gran parte nostra, nel non aver saputo creare le condizioni perché non accadesse, e nell’aver lasciato che persone non specchiate, poco intelligenti e senza alcuna visione del futuro prendessero in mano le sorti nostre e dei nostri figli e nipoti”.
Renato Fuchs

“Mi viene un dubbio: non sarà che l’ipertrofico sistema mediatico attuale – oltre a esercitare una pressione che rende statisticamente più probabile dire delle fesserie – favorisce per sua natura la selezione di un personale politico più propenso del passato a dire fesserie, in altre parole concentrato sulla ricerca del consenso purchessia invece che su una azione politica ragionata?”
Francesco (Torino)

“Prima di De Gaulle e De Gasperi ci sono stati Mussolini, Hitler, Stalin, con il loro seguito di popolo festante. Ci sono volute due guerre mondiali con il loro contorno di morte, sacrificio, coraggio, paura, prima che la gente imparasse dai propri errori, capisse l’importanza delle decisioni prese con responsabilità, della serietà delle conseguenze che esse comportano, imparasse a diffidare dei ciarlatani e si affidasse alle persone migliori (anche migliori di se stessi, cosa che oggi nessuno pare più disposto a riconoscere). Ma a lungo andare la memoria svanisce e lentamente riaffiorano i bassi istinti, le persone migliori vengono messe da parte a favore dei massimalisti e dei populisti. Speriamo solo non ci sia bisogno di prendere schiaffi per svegliarci”.
Marco

“Del presente, salvo Sanchez. Non mi pare peggiore di Rajoy e Aznar e tantomeno di Felipe Gonzales o Zapatero. Nonostante tutto, se la cava Macron, al cospetto dell’impalpabile Hollande, dell’impresentabile Sarkozy e pure di Chirac, che non era poi granché. Nel Regno Unito Starmer è un po’ incolore, ma dopo la corrida di tories direi che va anche bene. Re Carlo mi sta simpatico e, almeno personalmente, m’ero pure stancato della Regina, pace all’anima sua. Per il resto – Italia, Germania, USA e compagnia cantante – non c’è niente da fare”.
Fausto ‘85

“Purtroppo sono arrivato a capire che prima dei social media non sapevamo quante cretinate venissero dette per unità di tempo. Adesso lo sappiamo, ed è avvilente. Siamo circondati. E la situazione, grazie ai social media, va solo peggiorando”.
Marco Grigioni

“Accanto all’esposizione mediatica, bisognerebbe considerare l’imporsi di una nuova tendenza: l’eletto vuole e deve essere al pari dell’elettore, come se tanto bastasse a risolvere la crisi di rappresentatività dei partiti. Di Mario Draghi mi mancano l’aplomb, l’andatura, la riservatezza. I giornalisti allora s’appostavano fuori da macellerie, bar e ristoranti; noi leggevamo titoli tipo: Mario Draghi compra la fassona, Mario Draghi a colazione prende il cappuccino con il latte di soia, Mario Draghi mangia gli spaghetti ai ricci di mare. Di lui, con il tempo, abbiamo scoperto che ha un cane, legge i giornali e si fida solo di un dentista di Padova”.
Flavia

“Dopo lunghe riflessioni credo che sia così perché la democrazia ha effettivamente vinto: la democrazia democratizza, e democratizzando permetti l’accesso a più gente… e siccome la casta dei cretini è costante e trasversale, questi possono esondare. Un dito argina un buco nello scafo, per il secondo buco puoi usare un dito dell’altra mano. Ma il terzo buco, se non è in prossimità di un dito, farà affondare la nave… Se una volta anche per fare il Cirino Pomicino dovevi essere un fenomeno, oggi succede che un Antonio Razzi, se animato dalla giusta cattiveria, può diventare presidente degli USA. O dell’Argentina. Trump è un uomo miserevole ma è l’uomo più potente del pianeta, perché è quella poltrona a renderlo tale e non il contrario (almeno nel breve termine). Purtroppo per tutti”.
Stefano

Dopo tanto dolersi, un paio di note di speranza.

“Rispondo a ‘ci sarà pure qualche staterello guidato da persona specchiata, geniale e con un prodigioso intuito per il futuro. Segnalatelo, per cortesia, sarebbe di grande conforto’. Per me è Barbados, guidato da Mia Mottley che è tra le persone a cui si pensa per il prossimo incarico di segretariə dell’ONU”.
Cristina

“Segnalo la presidente della Namibia e forse il presidente del Congo. Si stanno giustamente adoperando per buttare fuori chi li depreda. Viste le premesse, spero ci riescano”.
Cristina Arduini

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Due zanzare. Meglio che niente. Gianni segnala, dal sito del Corriere della Sera, un sommario che confonde irrimediabilmente le nostre poche competenze medico-scientifiche:

DOPO AVERE EFFETTUATO L’AUTOPSIA, I MEDICI HANNO CONSTATATO LE SUE CONDIZIONI E SONO INTERVENUTI IMMEDIATAMENTE, MA OGNI TENTATIVO DI RIANIMARLA È STATO INUTILE

Ineccepibile nella sostanza, ma poeticamente spiazzante, è questa locandina di Repubblica, segnalata da Raffaello:

IL VENERDÌ QUESTA SETTIMANA ESCE DI GIOVEDÌ

Bene. Si scruta il cielo non per cercare segni premonitori sul nuovo papa, ma perché, dopo giorni di sole smagliante, questa settimana promette, almeno al Nord, pioggia a volontà. Noi agricoli (nel mio caso, semi-agricolo, forse addirittura agricolo solo per un quarto) siamo alle prese, in questo periodo dell’anno, con grossi problemi logistici: tagliare il maggengo adesso, prima che piova, o lasciarlo crescere ancora un poco sperando che la pioggia non sia troppa, impedendo al trattore di entrare nei campi per settimane? E la fresa, in mezzo ai filari di lavanda e di elicriso, ce la farà a lavorare prima che il fango la impicci al punto di bloccarsi? Vivere a cielo aperto espone a quesiti molto antichi, che la tecnologia può risolvere solo in parte. Dipendiamo dal cielo e dalla terra tutti quanti, in qualunque dio si creda o non si creda il pianeta è lo stesso per tutti.
Poi, c’è anche da decidere come vestirsi, ma questo è un problema condiviso con quelli di città. Dice che torna il freddo: mica mi dovrò rimettere le calze, che sono, addosso ai maschi, forse l’indumento più ridicolo? Con o senza calzini, vale il tradizionale “in alto i cuori”.