Con calma e per favore
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Michele Serra
Martedì 24 giugno 2025

Con calma e per favore

«La libertà non è una medicina da somministrare con la violenza: il paziente te la sputa in faccia»

Donne con bandiere iraniane sulle spalle assistono a una manifestazione contro i bombardamenti israeliani a Teheran, 20 giugno (Majid Saeedi/Getty Images)
Donne con bandiere iraniane sulle spalle assistono a una manifestazione contro i bombardamenti israeliani a Teheran, 20 giugno (Majid Saeedi/Getty Images)

Sull’Iran cerco di farla breve (che a farla lunga già ci pensano i B-2). Rileggo e risento parole quasi identiche ai precedenti casi di “bonifica” a mano armata di stati retti da regimi dispotici: Afghanistan e Iraq, indimenticabili catastrofi dell’allora coeso “Occidente” che vestiva i panni, già allora piuttosto logori, del dispensatore di giustizia e libertà. I talebani e i capitribù del fondamentalismo sunnita ancora ringraziano.

Ve la dico secca: se funzionasse – se per davvero gli ayatollah sprofondassero e quel grande popolo tornasse libero – potremmo anche fare finta che non esista il diritto internazionale, che l’aggressore e l’aggredito siano ruoli invertibili a seconda della convenienza, che l’arma atomica sia sacra per noi altri ma una bestemmia se negli arsenali altrui, che l’incolumità dei civili bombardati conti meno della liberazione di un popolo intero, che l’obiettivo sia veramente allargare la democrazia e restituire dignità alle persone – chiunque pensi alle ragazze iraniane capisce di che cosa si sta parlando.
Ma non funziona. Non funziona proprio tecnicamente, la libertà non è una medicina da somministrare con la violenza: il paziente te la sputa in faccia. (Mi viene in mente una vecchia barzelletta. Gesù incontra un paralitico e gli ordina, con voce tonante: “alzati e cammina!”. E il paralitico, piuttosto seccato: “con calma e per favore”).

Se poi il liberatore ha la caratura morale e il curriculum politico di Trump e di Netanyahu, e l’ecatombe di Gaza come biglietto da visita fresco di stampa, come può accampare qualunque genere di superiorità etica? Come può un assalitore del suo Parlamento, un censore delle Università, un finto cristiano che ha insediato nel Palazzo una predicatrice ossessa con il compito di “difendere la fede”, essere un paladino della libertà e dei “valori occidentali”? E l’uomo che imprigiona, asseta e affama una intera comunità umana definendola “terrorista”, potrebbe essere considerato anche dal più accanito e disperato oppositore del regime di Teheran qualcosa di diverso da un energumeno del tutto indifferente alle sorti delle persone umane?
Mi fermo qui, che poi si scivola sempre di più nel cattivo umore, nei sentimenti scomposti, e non è il caso. Mi limito ad aggiungere che un cittadino europeo senza Europa si sente tremendamente solo. “Non rappresentato”, si dice in politologia. Più semplice dire: tremendamente solo. Fine dello sfogo.

C’è ancora spazio per l’angolino comico. Nel momento stesso in cui bombardava l’Iran, Trump ha detto: “L’Iran deve porre fine a questa guerra”. Nemmeno Monty Python.

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La tentazione, certe settimane, è di pubblicare pari pari tutte le mail che arrivano sullo stesso argomento. Sarebbe molto meno faticoso. (Ai miei tempi, nelle redazioni dei giornali, si diceva: “mettere in pagina con il badile”, ovvero fare in fretta così poi si andava nella pizzeria di fronte prima che chiudesse). Ma verrebbe fuori una lenzuolata terrificante, da mettere in fuga anche il lettore meglio disposto. E dunque, anche se devo lavorare di più, preferisco adottare un vaglio, scegliere, filtrare, tagliare, asciugare…

Questa volta il tema che ha suscitato un’alluvione di mail era: le tecnologie digitali sono una tigre ancora cavalcabile, o ci hanno già disarcionato e se ne vanno per loro conto? Siamo noi o loro a comandare? Data la mia mediocre cultura digitale, più volte confessata, temevo di essere più che altro redarguito, soprattutto dai più giovani. Una cosa tipo: “zio, se non sai guidare perché non te ne rimani a casa a fare i cruciverba?”.
Con una certa sorpresa, devo dirvi che invece le mail in consonanza con il mio malessere sono larghissima maggioranza: non solamente le massaie rurali, i macchinisti di locomotive a vapore in pensione e i giornalisti che hanno cominciato con la Olivetti Lettera 22 imprecando ogni volta che dovevano cambiare il nastro inchiostrato; anche un sacco di gente bene inserita nell’epoca è un poco in ansia, o irritata, o spiazzata, e ha la sensazione di essere il terminale passivo della tecnologia ben più che il suo artefice. Molti i suggerimenti di cambiare programma di scrittura abbandonando i “software proprietari” e adottandone uno open source.

“Sono Nike (pronuncia come in greco, “niche”), ho diciannove anni e condivido il fastidio causato dalla onnipresenza delle AI. Non ho niente in contrario in linea di principio, ma sembra che nessuno sia libero di farne a meno: il mio pc ha un tasto apposito, poi la trovo su Google, su Canva, su WhatsApp (l’utilità ancora mi sfugge) e in mille altri siti. Incontro contenuti generati dall’AI persino sui volantini che pubblicizzano il 5×1000 stampati dal piccolo teatro del mio paese piemontese.
Anche tralasciando le questioni etiche (sono sistemi che impattano enormemente sull’ambiente, oltretutto addestrati con una mole di dati protetti dal diritto d’autore che non sono stati acquistati, ma rubati), non mi sono mai trovato a mio agio. Mi ci vuole meno tempo a scrivere personalmente un testo, rispetto a litigare con una macchina finché non arriva a un risultato più o meno soddisfacente, che è comunque peggiore di quello che avrei potuto fare io.
Mio fratello, ingegnere spaziale, si appoggia molto all’AI per scrivere codici di programmazione, impiegando metà del tempo. Non escludo la possibilità che la mia sia solo una sciocca ritrosia irrazionale, forse motivata dalla paura (mascherata da rifiuto etico) di perdere le prerogative di essere pensante. Ciononostante non riesco a usarla e provo sempre un leggero fastidio ogni volta che vedo qualcosa di prodotto in questo modo. Lunga vita alla libertà, alla tecnologia che salva le vite e all’intelligenza artificiale, che sicuramente ne salverà in futuro. Ma, almeno per adesso, ‘grazie, ma no grazie’ ”.
Niche

“C’è una soluzione per evitare l’invadenza degli strumenti Microsoft: LibreOffice (che a mio parere funziona meglio di Word) assolutamente gratuito e open source, magari bisogna adattarsi un po’ all’inizio, c’è qualche piccola differenza ma si può fare. Si scarica da qui: https://www.libreoffice.org/. E poi se uno vuol fare proprio il salto di qualità cambia anche il sistema operativo, da Windows a Linux. E si può fare anche gradatamente, averli entrambi sul pc e quando accendi il pc scegliere: parto con Windows o con Linux? E poi piano piano abbandonare sempre di più i software proprietari”.
Attilio Bongiorni

“Il problema non è la AI. Il problema è nato quando siamo passati dal considerare il software una cosa in cui gli aggiornamenti erano deliberati, incrementali, lenti e soprattutto facoltativi, a un mondo in cui non siamo proprietari di niente, e un padrone (che si rivela meno benevolo ogni giorno che passa) usa il cavallo di troia cangiante del software che ci ha ‘affittato’ per spremere più… Soldi? Dati? Al di fuori del mondo opensource non esiste più un software che compri (o ottieni) e funziona allo stesso modo per sempre. Ci sono due o tre ragioni non completamente deprimenti che ci hanno portato a questo: la complessità del nostro “stack” tecnologico è tale che senza aggiornamenti automatici saremmo, in molti contesti, davvero in pericolo. Ma in generale, da persona tangenzialmente nel settore, la trovo una situazione estenuante. Solidarietà”.
Microfono

“Capisco il tuo punto e lo condivido. Ho da poco riscoperto la pagina bianca di un quaderno, la scrittura a mano, cui non ero più abituata. Ed è stato bellissimo tornare a imprimere segni imperfetti ma unici, solo miei: ritrovarsi a contemplare la propria grafia e riconoscersi. Sentire i crampi alle mani, non più avvezze a impugnare la matita o la penna per scrivere qualche pagina. Ecco un ottimo motivo per ‘tornare a camminare’: è questa la nuova modernità!”.
Camilla, cinquantenne

“Non è solo l’IA, qui viviamo in un mondo dove gli algoritmi decidono per noi quello che ci piace e ce lo propongono. E dove la lampadina decide da sola se accendersi, la lavatrice decide come lavare, perfino il forno decide lui quanto e come cuocere. Il fatto è che ormai chiamiamo tecnologia ciò che è in grado di decidere al posto nostro, nell’ipotesi che la tecnologia sia in grado di capire meglio di noi quello che è meglio per noi. Ipotesi tanto affascinante quanto inquietante; e ancora più inquietante è che questo cambiamento incredibile (la riduzione del nostro ruolo decisionale ‘per il nostro bene’) avvenga essenzialmente nel silenzio”.
Vincenzo A.

“Li abbiamo autorizzati noi. Abbiamo cliccato qualcosa in qualche momento e abbiamo detto: ‘Sì, potete mandare tre finestrelle rettangolari’. Hanno stanze piene di avvocati, sanno quello che fanno. E d’altra parte clausole simili, forse più rudimentali ma sempre invisibili o quasi, ce le hanno sempre messe in ogni transazione, anche negli abbonamenti ai giornali. E noi – esausti – abbiamo sempre firmato”.
Paolo

“Riguardo i defatiganti tentativi di mantenere il controllo sugli strumenti digitali (è come se un meccanico avesse in officina un addetto Usag che gli offre con un sorriso tutte le mattine una chiave del 13 senza davvero sapere cosa il meccanico deve fare, e se il meccanico la rifiuta il giorno dopo gli porge una chiave sempre del 13, ma dinamometrica), segnalo i libri di Jaron Lanier, in particolare ‘Tu non sei un gadget’ del 2010, ma ancora attuale, e ‘Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social’. Interessanti anche perché vengono da uno che è stato un pioniere della realtà virtuale, e sa bene di cosa parla”.
Paolo Brunelli

“Segnalo un’intervista con una ricercatrice femminista e decolonialista, Anita Say Chan, PhD, e il suo ultimo libro ‘Predatory Data: Eugenics in Big Tech’. Il collegamento tra la teoria eugenetica e Silicon Valley spiega perfettamente l’ossessione per Big Data e per AI e il suo sviluppo attuale, con le ripercussioni sul mondo politico occidentale. Trovo anche illuminante la spiegazione di Varoufakis sul tecnofeudalesimo”.
Gabriella

“L’AI è il macchinario di una nuova rivoluzione industriale, mette in discussione il mio lavoro e punta tutto sulla produttività. Per capire che di mezzo c’è il padrone e il capitale basta vedere come l’AI ci propone di funzionare: vuole farti da amministratore di condominio, suggerire la prescrizione medica o il consiglio legale, o addirittura comporre il romanzo che ho in mente – ma i pomodori li lascia raccogliere a un umano povero in un campo assolato. Per noi ‘precari intellettuali’ sono tempi duri”.
MS

“Non siamo liberi di scegliere se usare o meno la AI per ragioni più gravi di quelle simboliche e concrete del ritrovarcela ovunque. Siamo obbligati perché mai come questa volta ‘restare indietro’ suona come un ‘restare fuori’, dal lavoro innanzitutto. E ci faremo più male che in altre occasioni”.
Davide

“Non è questione di essere o meno trogloditi o luddisti o nemici dell’innovazione, è aver comprato uno strumento e scoprire una fastidiosa ingerenza rispetto al modo in cui vogliamo usarlo. In questo caso è Microsoft, più che l’utente, che ha necessità che noi si usi Copilot e quindi ce lo mette davanti, in ogni modo, in ogni senso. Ricorda un po’ l’insistenza con cui, una volta, ci propinava Clippy, l’assistenza a forma di attache che serviva solo a farci perdere ulteriore pazienza. E quindi, questi dannati giganti, dovrebbero imparare a segnalarci le novità delle nuove versioni rispetto alle vecchie, chiedendoci se siamo interessati o meno a usarle. Anche solo per cortesia”.
Stefano

“C’è una soluzione ed è semplice semplice, io l’ho adottata un anno fa.
Ho abbandonato Microsoft Office Word per LibreOffice Writer, una suite gratuita e che fa esattamente le stesse cose, è totalmente compatibile con i documenti di Word (e permette di continuare ad usare gli stessi formati Doc, così da garantire l’interscambiabilità con chi continua ad usare Word e Office come se fosse l’unico programma disponibile). Io te ne cito uno, ma ce ne sono anche altri, è il meraviglioso mondo del software libero, dove la tecnologia evolve ma senza invadere, senza ficcare il naso e senza multinazionali poco chiare dietro.
C’è un’alternativa ad ogni app, ad ogni programma, e i ficcanaso restano fuori” .
Paolo A

“Una considerazione da vetero-informatico (lo ero quasi 40 anni fa!): come mai da qualche tempo quello che si è sempre chiamato software o informatica oggi si chiama Intelligenza Artificiale? Non mi risulta ci sia stata alcuna vera innovazione tecnologica: non sono mai riuscito ad ottenere una definizione di IA da quelli che se ne riempiono la bocca. Praticamente non c’è niente nell’IA di oggi che non si potesse già fare quando scrivevo software io, tranne che ai miei tempi non c’era potenza di calcolo sufficiente (uno qualsiasi dei software che girano adesso avrebbe impiegato giorni o mesi per fare quel che oggi fa il mio PC in frazioni di secondo) e non c’erano dati da elaborare (non c’era internet, i dati che servivano bisognava caricarli a mano, oggi sono disponibili miliardi di informazioni in pochi clic). E allora perché cambiare nome all’informatica? A mio avviso il nome IA è stato introdotto per sviare il pubblico dal vero problema, che è coprire le porcherie che si possono fare grazie ai dati oggi disponibili.
Le cosiddette big tech sono diventate un Grande Fratello che sorveglia tutto quello che facciamo, registra i nostri gusti, le nostre passioni e le nostre debolezze, e le rivende a caro prezzo a chi vuole usarle per venderci un prodotto, e sin qui il danno sarebbe contenuto; ma anche per condizionarci sulle nostre scelte fondamentali, in primis quelle politiche. Ho visto numerosi esempi commerciali estremamente efficaci di queste tecniche, non ho difficoltà ad immaginarne la trasposizione in operazioni di manipolazione dell’opinione pubblica. Di questo si parla molto poco al di fuori dei circoli di competenti, e come al solito c’è solo l’Europa che se ne preoccupa”.
Piero Gavazzi

“Delle conseguenze non volute delle nuove tecnologie, o meglio della modalità in cui sono introdotte. Sto assistendo, con altre persone, una signora sola di 85 anni in varie incombenze quotidiane, tra le quali la chiusura del conto corrente cointestato con la sorella che è morta pochi giorni fa e la riapertura di un nuovo conto intestato a lei presso Poste italiane. Non è possibile farlo senza fornire un indirizzo mail, che la signora non ha e non sa usare. In genere questo problema viene risolto da parte di un figlio o nipote che in questo caso non esiste. In pratica uno di noi deve fare l’operazione al suo posto ed avere così le chiavi di accesso al conto senza avere un titolo giuridico. Perché le poste non prevedono la semplice modalità di accesso allo sportello con deposito della firma, senza tutto il corollario dei controlli di sicurezza tramite cellulare e indirizzo mail?”.
Roberto

“È sempre stato così, è sempre successo che una nuova versione di un certo prodotto tecnologico causasse la scomparsa del precedente. Il mio amatissimo hot-dog dell’Ikea di quando avevo dieci anni si è progressivamente modificato nel tempo senza che io potessi in alcun modo interferire: prima il pane più piccolo, poi proprio diverso, poi sono cambiati i wurstel e per finire la senape; ormai è un panino diverso. Amavo giocare al videogioco tal dei tali, poi sono cambiati hardware e software e ormai non posso più usarlo. La lista è pressoché infinita. Sono facce diverse di quello che è il divenire, il cambiamento: le cose cambiano e nonostante noi battiamo i piedi sono ormai passate e non si possono recuperare, sono finite scomparse, annichilite. Fine della storia”.
Michele Buizza

“Non è l’Intelligenza Artificiale ad aver portato sulla sua pagina bianca questi fastidiosissimi ‘suggerimenti’, ma una precisa azienda di cui lei è cliente, ovvero Microsoft. Quanti software di cui disponiamo oggi possono subire lo stesso destino, ovvero una casa produttrice da domani può toglierceli, o, più realisticamente, obbligarci a utilizzarli in uno specifico modo per proprio tornaconto (sperimentare una nuova funzionalità, guadagnare dal numero di ricerche fatte con IA, chiederci di condividere un dato personale in più, mettere pubblicità…), mascherando l’imposizione per progresso? Rispondo io: tutti quelli che utilizziamo. Cosa possiamo farci? Nulla, perché non c’è niente di nostro sul ‘nostro’ computer. È la stessa logica con la quale da domani Meta può decidere serenamente di oscurare tutti i post che usano la parola Palestina, o la parola solitudine, oppure morte, oppure stupro, o qualsiasi altra parola non faccia bene all’engagement. Come siamo arrivati a questo punto? So solo che pochi attori si dividono la torta e la maggior parte di noi (aziende e enti pubblici compresi) è legata mani e piedi a quei pochi. Cosa possiamo fare? Possiamo rivolgerci a software open source, andare su social liberi come Mastodon, usare browser indipendenti (io ho 34 anni, ma detesto essere obbligato da Google a leggere la risposta che la sua IA fornisce a ogni ricerca, anziché cercarmi le risposte da solo…). Penso, per inguaribile ottimismo, che stia iniziando un processo di liberazione di massa, o almeno che qualcuno ci stia provando e qualcun altro stia iniziando ad ascoltare. Nell’altra metà del bicchiere, c’è la consapevolezza che i big player della tecnologia potranno avere gioco facile nello spegnere questo processo un domani, così come spengono la luce di casa battendo le mani”.
Guido

“Anche io da qualche mese sono perseguitata da Copilot che vuol scrivere al posto mio. Ma insomma le caxxate me le voglio scrivere da sola! È ancora possibile???”.
Clotilde

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Quando i cani cercano di infilarsi in cantina e non li smuovi nemmeno convocandoli per una passeggiata, si sdraiano per quanto sono lunghi sul pavimento fresco e ti guardano facendo gli gnorri (fare lo gnorri: non lo scrivevo da secoli, mi piace un sacco) e sperando che la pessima idea di uscire di casa ti passi in fretta: allora vuol dire che è arrivato davvero il grande caldo, il caldo padrone, opprimente e dispotico, quello che sospende molte delle principali attività quotidiane.
Usciranno solo a sera, dopo il tramonto, ai primi refoli d’aria, scodinzolando per il sollievo e sternutendo per motivi loro (nessun animale al mondo sternutisce quanto i cani. Mi sono fatto l’idea, non credo molto scientifica, che essendo il naso l’organo canino più importante, una specie di dominus di tutto il resto del corpo, devono tenerlo allenato, fremente e ben pulito, sternutendo molto spesso per sgranchirlo…)

Alle definizioni dialettali e gergali della scorsa settimana sull’afa maledetta, il caldo porco, eccetera, se ne sono aggiunte molte altre. Salvatore segnala “bafuogno, termine puteolano (variante peculiare del napoletano) che indica un vento caldo e afoso simile al favonio, e per esteso un caldo umido e soffocante”. Edoardo scrive che “in Valsesia e nel Biellese, ma un po’ in tutto il Piemonte orientale, si dice scögn”. Mi è sembrata piuttosto dotta (d’altra parte siamo tra i lettori del Post…) la trascrizione dal friulano di Enrico: “‘scjafoiâs’, dal verbo scjafojàrsi (soffocarsi). Ti hanno scritto in molti dal Veneto ma noi friulani parliamo una lingua a sé”.

I ricordi di infanzia sono fonti preziose, quanto a linguaggio. Eleonora ricorda che “la mi’ nonna, nata nell’entroterra livornese, quando aveva molto caldo usava questa espressione toscana: ‘deh, c’ho le cosce sudenti’. Noi bambine si pensava dicesse ‘sui denti’ e si scoppiava a ridere come matte”. Anche Debora evoca la voce di sua nonna: “Se è vero che i refoli a Venezia arrivano quando meno te l’aspetti (e benedette siano le città di mare), in certe giornate, sulle rive più battute dal sole, mia nonna diceva ‘casca i coiombi cotti!’, cadono i colombi cotti”.
Valentina, da San Donà di Piave, ha chiesto ausilio alla mamma, “poetessa dialettale del luogo. Suggerisce ‘petaiz’, l’essere appiccicosi a causa del tanto sudare; ‘orbarioe dal caldo’, cioè non riuscire a mettere a fuoco, avere la vista annebbiata; e anche ‘è come essar drento na caliera’ più intuibile, la sensazione di essere dentro un pentolone”.
Dal Basso Trentino, che immagino munito di lingua propria, come l’Alto Trentino, Ruggero segnala “stófech (pron. stófek). Si dice: gnanca calt: stófech!, per dire ‘fa più che caldo, si sòffoca’. Stofegàr vuol dire soffocare”. Non so se nel Triveneto faccia più caldo che altrove, oppure il lessico sia particolarmente florido, ma devo aggiungere quanto scrive Amanda: “Tra laguna veneta, padovano e trevigiano l’aria carica di umidità rovente immota si chiama caligo (la L dovrebbe essere barrata)”.

Con brusco, ma non refrigerante salto geografico, scendiamo a Palermo. Rossana ci comunica “un modo tutto palermitano per descrivere la sensazione di caldo eccessivo: ‘si squara di cavuru’. In questo caso ‘squarare’ significa sciogliersi, bollire”. Dal Salento Mauro fa soffiare fino a noi il “faugnu. Si riferisce al vento caldo umido che tormenta le estati da Brindisi in giù. Ha un corrispettivo italiano in favonio, traduzione di föhn”. Infine: produce un suono sfatto, minaccioso, molto espressivo, il termine modenese che ci dice Maurizio: “Inco a ghé propria ‘na gran sbòia. (oggi fa davvero un gran caldo, un’afa intollerabile)”.

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Per dire a quale ingiustificato accanimento possano arrivare certi malavitosi, mi sembra imperdibile questo refuso sulla Stampa, segnalato da Franco:

ASSALTI ALLE SALE SOMMESSE
BANDITI CONDANNATI A 9 ANNI

Sul Corriere, cronaca torinese, Stefano ha trovato un titolo decisamente in linea con il contenuto. Il sindaco e il distributore di energia elettrica si sono incontrati dopo un black out cittadino:

LO RUSSO CONVOCA IREN
INCONTRO AD ALTA TENSIONE

Decisamente molto contemporaneo questo cartello che Lucia ha fotografato alla Stazione di Bologna:

ATTENZIONE GRADINI DISCONNESSI

Inutile, dunque, cliccare sui gradini. Il titolo di Repubblica.it segnalato da Antonio è l’ennesima conferma che l’ordine delle parole, in una frase, ne può cambiare radicalmente il senso.

GRAFFIATA DA UN CANE IN VACANZA IN MAROCCO
TURISTA INGLESE MUORE PER RABBIA

Dove andremo a finire, se anche i cani vanno in vacanza? Dalla città di Gallarate, recente sede di un convegno di fascistoni, Guido ci manda un titolo (della Prealpina) che potrebbe far pensare al classico giro di vite leghista:

SPACCIATORI AL CIMITERO

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Sabato sera, in ogni modo, è arrivato il temporale, con tuoni e lampi d’ordinanza, e sono bei momenti: si sta sotto il portico a godersi lo spettacolo, se non c’è grandine ed è solo acqua il mondo intero prova sollievo ed è contento, alberi, prati, esseri umani e bestie. Si respira forte. In alto i cuori, noi che possiamo, e un pensiero a chi il cuore deve custodirlo sottoterra: in un bunker, in una cantina, in un metrò.