Da dove ricomincia la Tunisia

Martedì mattina si è tenuta la prima seduta dell’Assemblea Costituente che, in forma solenne, ha proclamato l’entrata in funzione dei 217 deputati eletti il 23 ottobre con le prime elezioni libere e democratiche della Tunisia dopo il regime Ben Ali. L’Assemblea è dominata da Ennhada con 89 seggi – seguono il CPR con 29, Al Aridha con 26 ed Ettakatol con 20, PDP con 16 – e conta anche 18 membri eletti nelle circoscrizioni estere, di cui ben 3 rappresentanti della diaspora tunisina in Italia, la comunità più numerosa dopo quella residente in Francia.

Fuori del palazzo di Bardo, nella periferia nord di Tunisi e già sede della camera dei deputati del regime deposto, in concomitanza con l’inaugurazione della nuova Assemblea, si sono adunati in sit-in anche alcune centinaia di manifestanti. Era notevole soprattutto la presenza di donne, che con l’avvento al potere degli islamisti di Ennhada temono una restrizione dei propri diritti e libertà individuali. Questi furono sanciti col famoso codice dello statuto personale, il più avanzato tra tutti i paesi arabi, promulgato da Habib Bourguiba, padre della Tunisia laica e contemporanea, nell’anno dell’indipendenza, il 1956. Ma si evidenziava anche la presenza di militanti di Amnesty International ed altre organizzazioni che chiedono l’abolizione della pena di morte, tuttora in vigore in Tunisia; e ancora i familiari e le associazioni a sostegno delle vittime della rivoluzione che chiedono riconoscimento e compensazione. Piccole e marginali scaramucce con il servizio d’ordine, ma davvero insignificanti se si pensa a quello che sta accadendo nel vicino Egitto, dove il ruolo dei militari, la loro influenza e presenza nella vita politica, non ha niente a che vedere paragonato con quello dell’armée tunisienne.

In Tunisia, infatti, l’esercito è ben visto dalla popolazione dato anche il rifiuto all’ordine di Ben Ali di sparare sulla folla durante gli eventi rivoluzionari degli ultimi mesi di dicembre e gennaio. Piuttosto, in Tunisia, è la polizia a essere stata messa sotto accusa a causa del forte legame di connivenza con il regime, che ha sostenuto fino in fondo, anche a colpi di arma da fuoco contro la folla accorsa nei moti di piazza – causando oltre duecento morti. All’indomani del 14 gennaio, giorno della fuga di Ben Ali, dopo essersi quasi ritirata nelle caserme, la polizia ha addirittura cambiato le divise in questi giorni, nel tentativo posto in essere dal nuovo potere di farle recuperare immagine e credibilità, necessari per la tutela dell’ordine pubblico.

Tornando ai lavori dell’Assemblea, dapprima presieduta dal deputato più anziano e a seguito del discorso inaugurale del presidente ad interim Foued Mebazaa innanzi all’attuale governo provvisorio, essa ha immediatamente proceduto all’elezione del Presidente, aggiudicata in favore di Mustapha Ben Jafaar, leader di Ettakatol – partito socialdemocratico di centro-sinistra – il quale ha avuto la meglio (con 145 voti contro 68) nei confronti di Maya Jribi, candidata del PDP. Il terzo candidato, Mohamed Brahmi del MDP, si è invece subito ritirato dalla corsa.

Il dato importante da segnalare è che con la scelta di candidare la Jribi alla presidenza dell’Assemblea, il PDP ha confermato la scelta di guidare l’opposizione nei confronti del nuovo assetto politico della Tunisia che vede una solida alleanza Ennhada-CPR-Ettakatol. Quest’ultimi, già da qualche settimana, hanno messo in piedi tre diverse commissioni per occuparsi del futuro programma di governo che – come sancito da un documento siglato dai rispettivi vertici – mira a realizzare gli obiettivi della rivoluzione attraverso le necessarie e urgenti riforme politiche, economiche e sociali. Al PDP, invece, va dato merito di aver accettato senza indugi la cocente sconfitta sancita dalle urne, riconosciuta addirittura prima che fossero annunciati i risultati preliminari.

La cosiddetta ‘troika’ si completerà, quindi, con la conferma di Hamadi Jebali, segretario generale di Ennhada, designato a guidare il nuovo esecutivo nel ruolo di primo ministro e il dottor Moncef Marzouki, leader del CPR, partito laico nazionalista, che verrà eletto alla Presidenza della Repubblica. Marzouki, ‘il nuovo reggente di Cartagine’, già tra i fondatori della Lega Tunisina dei Diritti dell’Uomo, poi costretto all’esilio dal regime di Ben Ali, promette che non cambierà la sua natura di ‘figlio del popolo’ e manterrà le sue istanze in favore di un sistema equo ed egualitario. Dichiara, inoltre, che effettuerà la sua prima visita ufficiale a Kasserine, nel centro-ovest del paese, arretrato e depresso rispetto alle zone costiere e da dove, infatti, si sono propagati i moniti rivoluzionari. Dopo l’immolazione di Mohammed Bouazizi a Sidi Bouzid il 17 dicembre del 2010, è proprio a Kasserine che si sono avute gli scontri più duri tra polizia e manifestanti.

L’unica incertezza, fino a qualche giorno fa, ha riguardato chi tra Ben Jafaar e Marzouki andasse a occupare l’una o l’altra presidenza, con il primo che veniva dato favorito per lo scranno più alto. Ma non è certo questa la priorità di un popolo che aspira piuttosto a migliorare le proprie condizioni di vita e a consolidare le libertà civile e politiche solo recentemente acquisite. Al di là della divisione dei posti di comando, infatti, come commentano oggi i giornali tunisini: “Ora che si è installata la democrazia, comincia la parte più dura”. Ed è proprio così. Comincia ora la vera transizione democratica per un potere che dovrà rispondere alle forti aspettative della popolazione e della comunità internazionale.

L’Assemblea si dà un anno come tempo limite per redigere il nuovo testo costituzionale che si prevede piuttosto snello, composto da massimo 90 articoli, che dovrà definire la forma di stato da adottare. Al termine dello stesso anno, quindi, bisognerà convocare nuove elezioni. Il dibattito pubblico, com’è facile immaginare, si concentra molto sul contenuto che dovrà avere l’art. 1 del testo, ovvero sull’indirizzo che si vorrà dare allo stato e se meriti menzione il riferimento all’identità musulmana dei tunisini. In tal senso, Ennhada ha più volte dichiarato di non avere alcuna intenzione di inserire la religione nella legge fondamentale dello stato, così come ci tiene a rassicurare donne, giovani e occidentali sulle proprie ferme intenzioni di non voler operare una contro-rivoluzione islamica. La Rivoluzione tunisina è di tutti i tunisini e nessuno fino ad ora ha mostrato di volersene appropriare per propri fini ideologici particolari.

Il nuovo establishment sembra avere le idee piuttosto chiare quando afferma che ancor prima della forma di stato, è certamente prioritario il tema del rilancio economico del paese, a partire dalla riforma del settore finanziario fino al consolidamento del settore turistico, che rappresenta il maggiore introito in un paese piuttosto avaro di risorse naturali.
Una seconda sessione dell’Assemblea è prevista nei prossimi giorni e questa volta saranno invitati anche dignitari e rappresentanti di governi stranieri. Intanto, mentre continuano le trattative tripartite per l’assegnazione dei ministeri del nuovo governo di transizione, l’Assemblea ha eletto al suo interno due commissioni, che si occuperanno l’una di redigere il regolamento interno e l’altra l’organizzazione provvisoria dei poteri pubblici.

Michele Camerota

Michele Camerota è di Scauri (Lt), laurea in scienze politiche, master in diritti umani, viaggia e lavora in quattro continenti come osservatore elettorale e affini. Saldamente legato alle sue origini.