Neutralità: ma Matteo Renzi lo sa?

Come avviene sempre in certe faccende di casa nostra ora la parola d’ordine è rimandare. Rimandare e scaricare sui partner europei le inattese difficoltà.

La verità è meno complicata e se possibile più deprimente. Il governo italiano nel corso del semestre di Presidenza UE ha tentato di forzare la mano sulla neutralità della rete e il giochetto non è riuscito. Domani a Bruxelles si annuncerà un rinvio di ogni decisione in merito.

È una vicenda politicamente molto istruttiva anche se difficile da spiegare: il concetto stesso di neutralità della rete è arduo da raccontare. Per semplificare molto: fino ad oggi Internet ha funzionato molto bene perché nessuno è stato in grado di controllarne i canali di accesso. Non lo hanno potuto fare gli operatori telefonici nonostante possedessero i tubi, né le grandi aziende editoriali nonostante possedessero i contenuti. Non lo hanno potuto fare i soggetti nati in rete ed improvvisamente diventati aziende potentissime e piene di soldi. Fino ad oggi chiunque abbia avuto un’idea si è potuto affacciare su Internet guadagnandosi l’attenzione degli altri. Pensate a Skype se volete farvi una idea del Davide delle comunicazioni che si fa spazio senza permesso dentro i tubi del Golia delle grandi compagnie telefoniche. Il giorno in cui la rete non sarà più neutrale questo non sarà più possibile. Come dico sempre la neutralità garantisce la nascita di Google: non dell’azienda i cui servizi usiamo tutti oggi, ma di una azienda simile, con un altro nome, che qualche ragazzino sta immaginando adesso e che noi utilizzaremo domani. Una rete neutrale garantisce il ragazzino, i suoi sogni ma, soprattutto, noi stessi.

Fine della spiegazione.

Ora non è un caso che nessuno dei soggetti poco fa citati sia oggi favorevole alla rete neutrale. Molti lo sono a parole e con ampi distinguo, sotto sotto la detestano tutti: non piace alle telco, non piace a molti governi (una Internet neutrale causa un sacco di problemi anche al controllo politico), la schifano i giganti dell’editoria e dell’intrattenimento. Ognuno per suo conto e con le proprie motivazioni vorrebbe una rete neutrale – certo – ma con qualche eccezione. Neutrale affinché tutta la pregiata clientela possa raggiungere i loro business consolidati, con qualche eccezione per non trovarsi domani fra i piedi qualcuno che faccia loro concorrenza. Piccioni fave, moglie e botti.

Incidentalmente questa confortevole via di mezzo non è possibile perché l’accesso a Internet o è neutrale o non lo è: tutti gli altri aggiustamenti di cui sentirete parlare sono balle più o meno elegantemente confezionate.

La versione italiana della Internet neutrale ma solo un po’ è quella del sottosegretario alle telecomunicazioni Antonello Giacomelli che, fra documenti segreti che qualcuno ha fortunatamente divulgato, smentite, interviste nelle quali sostiene tutto ed il suo contrario e chiarimenti che non chiariscono nulla, è ben riassunta in questo passaggio in un’intervista a Wired di qualche settimana fa:

Proviamo a essere più concreti. Come si salvaguarda questo diritto?
“Garantendo ai cittadini accesso adeguato e velocità adeguata. La net neutrality non è un valore assoluto, ma relativo. Io non impedisco ai soggetti commerciali di sviluppare servizi veloci a pagamento, a patto che siano costretti a fornire ai cittadini un accesso adeguato, definito in modo variabile e crescente, in funzione della velocità massima disponibile”.
Avete portato questo schema di ragionamento in sede Ue?
“È l’impostazione italiana. Siamo impegnati a ricercare la sintesi tra i diversi contributi in questo senso”.

ed in una dichiarazione all’Ansa di qualche giorno fa:

(ANSA) – ROMA, 25 NOV – “Noi crediamo alla Net neutrality come valore, e proprio per questo dobbiamo creare le condizioni per una sua regolamentazione. La tesi di chi dice di non intervenire e’ esattamente la posizione di chi e’ contrario alla Net neutrality. Non basta l’ annuncio di un principio, occorre favorire le condizioni per un intervento che assicuri che la Rete rimanga un luogo di liberta’ e di opportunita’”. Questo un passaggio dell’ intervento del sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli all’ Internet Governance Forum Italia di oggi nell’ aula dei gruppi parlamentari della Camera. “La Presidenza italiana – ha aggiunto Giacomelli che giovedi’ 27 novembre presiedera’ il Consiglio dell’ Ue per le telecomunicazioni a Bruxelles – e’ contraria agli accordi tra grandi operatori, che rischiano di creare barriere all’ entrata della Rete. Ora dobbiamo cambiare prospettiva e provare ad assumere il punto di vista dell’ utente. Ho la sensazione che gli Stati Uniti stiano prendendo piu’ tempo per la decisione, quindi capisco che anche in Europa serva un momento ulteriore di riflessione

Quando le posizioni di Giacomelli sulla net neutrality, o meglio quelle che Giacomelli dice essere “l’impostazione italiana” sulla net neutrality è uscita dalla nebbia e si è minimamente chiarita, confesso di essermi preoccupato e di aver fatto un po’ di telefonate. Nessuno delle persone di mia conoscenza che dalle parti del Governo si occupano di digitale ne sapeva nulla. Chi aveva partecipato ad alcune riunioni al riguardo mesi fa ricordava che la quasi totalità degli intervenuti era contrario ad una idea di neutralità edulcorata come quella proposta dal sottosegretario. Poi, da allora, il silenzio. Non ne sono certo ma sono abbastanza convinto che nemmeno il Primo Ministro ne sapesse molto.

Perché così funziona troppo spesso la delega politica in Italia: le decisioni importanti (e quella sulla neutralità, anche se non sembra, è una di quelle che sono in grado di cambiare lo scenario tecnologico dei prossimi anni) sono prese dentro segrete stanze, spesso in accordo con soggetti che nulla hanno a che fare con la rappresentanza politica, sovente seppellite dentro un documento scritto in inglese in un comma nella penultima pagina appoggiato lì distrattamente, nella speranza che nessuno se ne accorga.

Chi sia il genitore de “l’impostazione italiana” a nome della quale Giacomelli parla non è al momento dato sapere. Di sicuro io non ho mai sentito Matteo Renzi dire che lui è favorevole ad una rete Internet neutrale ma solo un po’. Di sicuro non ho mai sentito nessuno in Italia fra gli esperti che si occupano di rete da anni pronunciare una frase come

“La tesi di chi dice di non intervenire e’ esattamente la posizione di chi e’ contrario alla Net neutrality ”

Per quello che mi risulta è vero l’esatto contrario: da Obama in giù la natura neutrale della rete così com’è oggi è l’essenza stessa del concetto di neutralità e non una sua versione arteriosclerotica da canuti oppositori. Il Presidente americano stesso nelle ultime settimane è stato costretto a chiarire meglio questo punto, dato che i medesimi falchetti che girano oggi sul piccolo cielo italiano infestavano la FCC da quelle parti creando molte preoccupazioni fra i cittadini.
A chi si riferisca Giacomelli io, in ogni caso, non sono riuscito a capirlo. Nei fatti non c’è uno straccio di responsabilità palesemente espressa, non un verbale pubblico, un programma politico o un’alzata di mano dietro una simile importante scelta di campo; solo un documento mandato silenziosamente ai nostri partner europei e pateticamente smentito appena qualcuno lo ha reso pubblico. Un documento con accenni talmente sciagurati ad una Internet non neutrale che i governi UE ci hanno messo pochissimo per affossarlo prima ancora di discuterne. Fortunatamente.

Semestre europeo o no siamo un Paese che, per lo meno sui temi dello sviluppo tecnologico non ha possibilità di imporre niente a nessuno. Nemmeno se avessimo idee improvvisamente intelligenti. Troppa è la distanza culturale che la nostra inettitudine ha scavato sui temi del digitale verso i nostri partner europei negli ultimi 15 anni. Semestre o non semestre siamo terz’ultimi in Europa per accesso a Internet, abbiamo dietro solo Bulgaria e Romania. E insomma, in poche parole, dove crediamo di andare?

Nonostante questo la faccenda Giacomelli- neutralità è uno spaccato interessante di come funziona il potere in Italia, di quanto grandi siano le sue anomalie in termini di trasparenza e di responsabilità individuale. Verso i cittadini certo ma anche verso i propri compagni di avventura. Un gioco delle parti intenzionale dove il più furbo ed il più esperto vince. E quell’esperto non siamo noi, né Matteo Renzi, né i consulenti del Governo, tanto meno i cittadini che chiedono di essere informati e rappresentati. E per ironia della sorte nemmeno Giacomelli lo è, pedina di un disegno più grande di lui.

È come se ci fosse un tarlo profondissimo dentro il legno del potere, estirparlo è difficile. Se tendiamo l’orecchio se ne sente il flebile rumore. Nel frattempo attorno a noi, nel disinteresse generale, tutto ritorna polvere.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020