Una protesta a Rosenstrasse

Rosenstrasse, via delle rose, è una piccola strada nel centro di Berlino. Quasi una scorciatoia tra due strade più grandi. Ma è importante perché qui c’è l’unica manifestazione di protesta nella Germania nazista contro la deportazione degli ebrei. Un giorno del 1943 le SS vi rinchiudono 1.800 uomini catturati sul posto di lavoro. Sono ebrei tedeschi imparentati con “ariani”. Sono “ebrei privilegiati” perché non destinati alla deportazione, almeno fino ad allora. Così ci sono mogli, figlie, madri che ricevono la notizia che i loro parenti sono rinchiusi in Rosenstrasse. Sono donne che hanno paura. Hanno già vissuto anni di paura, ingiurie, violenze fisiche e verbali, perché loro, ariane, condividono la vita con un ebreo, un sub-umano. Sanno da anni che sarebbe successo quello che sta adesso succedendo: la deportazione, le camere a gas. Si chiedono “che fare”, adesso che è successo.

A una a una, come “galline spaventate” – racconterà poi una di loro – cominciano ad arrivare sulla Rosenstrasse: non si conoscono, sono differenti per estrazione sociale, ci sono baronesse e operaie, intellettuali e analfabete. Ma si prendono a braccetto e cominciano a camminare insieme. Avanti e indietro per la Rosenstrasse guardano le finestre buie. Qualcuna urla “ridatemi mio marito”. Ma soprattutto aspettano in silenzio. Alla fine sono migliaia. Restano in strada, al freddo, per una settimana. Poi il portone si apre e gli uomini di Rosenstrasse vengono liberati. Anche i 25 che erano già stati mandati ad Auschwitz verranno ritrovati e sottratti alla macchina dello sterminio. I tedeschi, si sa, son precisi.
Siccome è iniziato tutto il 27 febbraio 1943 possiamo dichiarare questa Giornata Mondiale della protesta anche quando protestare non è mica facile.

Massimo Cirri

Da venticinque anni divide le giornate in tre: psicologo al mattino; conduttore radiofonico (Radio Popolare, poi a Radio2 Rai con Caterpillar) al pomeriggio. La sera, spesso, è impegnato come autore teatrale.