Il giorno di Brexit

È un giorno molto triste per chi come me ha chiamato casa un appartamento di Londra per molti anni. Per chi in Regno Unito ha studiato, lavorato, visto nascere i propri figli. È triste pensare che N. e A. dovranno usare il passaporto per tornare nella città in cui sono nati.

Sembra facile dirlo ora, ma io non ho mai avuto dubbi sul fatto che Brexit sarebbe successa. I britannici hanno un rapporto assolutista con le decisioni prese, che non ammette flessibilità. Da questo punto di vista battere Hitler e fare Brexit pari sono. Servono fattori veramente eccezionali per far cambiare loro una decisione presa: per questo si pensava che il leave non avrebbe vinto. Le élite britanniche, che vivono in una torre d’avorio sconosciuta agli altri paesi europei, avevano sottovalutato l’eccezionalità della crisi del 2007/8 e i suoi postumi. A noi e ai nostri figli rimane una Unione Europea a cui mancherà un pezzo fino a che non rimedieremo. È vero, come dice il sindaco di Londra, che si rimane Europei comunque, ma questa è per me una aggravante non una consolazione.

Nata con un grande ideale di popolo, attraverso la cooperazione per la ricostruzione, l’Unione Europea si è evoluta in una istituzione di pochi, governata da una burocrazia modellata su referenti delle élite, e incapace di stabilire una connessione sentimentale col popolo che doveva governare e sul quale legiferava con pervasività.

Lo stato corrente della UE, tra l’altro difficilissimo da riformare, è un altro dei fallimenti collettivi della scorsa generazione, che ha ereditato un lavoro immenso dai nostri nonni e non ha saputo bene che farne. Ma noi a questa Unione imperfetta e sbagliata vogliamo bene perché le istituzioni, anche se imperfette e sbagliate, sono la personificazione della nostra fratellanza e sorellanza.

Una cosa la storia negli scorsi 2000 e rotti anni ci ha insegnato: non è mai esistita una decisione importante di un paese europeo, mai, buona, cattiva o tragica, che non ci abbia coinvolto tutti, tutti gli europei. Non è mai esistita una decisione importante di un paese europeo, mai, buona, cattiva o tragica, che non ci abbia coinvolto tutti, tutti gli europei. Forse è questa la definizione più profonda di Europa, una comunanza ineluttabile di destino. Siamo tutti coinvolti.

E anche questa non è una consolazione, ma una aggravante. La consapevolezza che non ci sono scorciatoie o alzate di spalle possibili. Ve possino inglesi, ma guarda che avete combinato!

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_