La scomparsa di un’idea di sinistra

Credo che la straordinaria sconfitta del Labour Party di Jeremy Corbyn sia un evento che definirà il percorso della sinistra occidentale più della vittoria di Tony Blair nel 1997. Quella vittoria sembrò a molti l’inizio di una nuova era del progressismo, ma non lo fu. Fu solo l’inizio di una stagione, che paradossalmente finisce oggi con la sconfitta più cocente, nelle migliori condizioni teoriche, della visione più articolata degli oppositori progressisti della Terza Via. Sembra un paradosso ma non lo è.

La campagna elettorale di Corbyn era giocata nelle migliori condizioni possibili per il suo schema politico. Il manifesto labour era uno strutturale ritorno a una economia diretta dallo Stato, con un suo sviluppo sostanzialmente orientato da scelte politiche a fini di giustizia sociale. La campagna di Momentum diceva esplicitamente “la scelta è tra socialismo di Corbyn o capitalismo sfruttatore di Johnson”. Mutatis mutandis, tra cui una straordinaria capacità di utilizzo delle nuove tecnologie, si trattava di una proposta basata su una analisi la cui semplificazione è del tutto analoga a quella
della sinistra di primo Novecento: masse di lavoratori sfruttate devono reagire contro una minoranza di sfruttatori – For the many, not the few. Una campagna che sembrava rispondere ad alcuni dati sociali: i tassi di povertà e deprivazione sociale nel Regno Unito non sono mai stati così alti. I bambini in povertà assoluta nel Regno Unito sono 3,7 milioni, il triplo – tre volte tanto – che in Italia.

Si dirà che la sconfitta è dipesa dal tema della Brexit su cui Corbyn non poteva articolare una risposta comprensibile, per via delle spaccature sul tema del suo stesso elettorato. Ma a pensarci bene non è una attenuante della sconfitta politica, ma una aggravante. Significa – ammesso che sia vero, cosa su cui è lecito avere dubbi – che la Brexit abbia contato più delle condizioni materiali.

Più probabilmente le persone, a torto o ragione, hanno creduto che le loro condizioni materiali hanno più probabilità di migliorare con la Brexit piuttosto che con le ricette iperstataliste di Corbyn. In altre parole, la lettura della società inglese suggerita da Corbyn con grande efficacia di mezzi tecnologici e mobilitazione, nonostante l’enormità delle tragedie sociali in corso che quella lettura attribuiva all’egoismo dei pochi, ha fallito nel produrre risposte che fossero convincenti per le stesse persone a cui si rivolgevano.

Ma allora perché questa sconfitta è più importante della vittoria della Terza via negli anni 90? Perché la dimensione della sconfitta nel momento di massima probabilità di vittoria mostra che l’incapacità della Terza via di costruire un nuovo paradigma progressista non era motivato da errori parziali, o da fattori contingenti – guerra in Iraq, o Mastella che fa cadere il governo – ma da errori strutturali. La Terza via è stato l’espediente con cui partiti che avevano esaurito la loro funzione storica sono riusciti, incorporando alcune caratteristiche culturali ed economiche diffuse, a ritardare la loro scomparsa.

Tutti i leader storici di quella stagione, a partire da Tony Blair, e i loro epigoni più recenti hanno da un lato riportato buone e a volte ottime performance elettorali, ma hanno sempre fallito nella capacità di convincere la sinistra di essere i legittimi eredi della tradizione da cui provenivano. Una quota significativa dei militanti e intellettuali ha sempre interpretato quelle esperienze come delle cesure nella propria storia, se non dei tradimenti e delle deviazioni da raddrizzare.

La dimensione della sfida di Corbyn mostra quanto fiato avesse quella parte di sinistra scettica della Terza via, e quanto poco in profondità fosse andata quella lettura dal mondo, tanto da essere rimossa dalla cartina elettorale nel giro di pochi anni.
Sarebbe un errore derubricare i critici di allora, che sono gli sconfitti di oggi, come semplici nostalgici del comunismo, ovvero nostalgici di una idea palingenetica di società: infatti tra i principali critici della Terza via ci sono sempre state importanti figure che erano precedentemente state critiche anche del marxismo occidentale.

Visto con il vantaggio del senno di poi, non sembrava infatti plausibile fondare un nuovo paradigma politico su una analisi molto parziale all’inizio di un momento di grande trasformazione, come in effetti furono gli anni 90: un inizio.

La Terza via – mi si consenta la semplificazione con cui includo in questa definizione tutte le sue articolazioni, sia pur nelle differenze nazionali – ha dunque fallito nel costruire un nuovo paradigma, al punto tale che quando i suoi leader sono stati sconfitti, è stato possibile tornare allo status quo ex ante, come se non fossero neanche passati. Il caso inglese, come spesso accade, è quello in cui questo percorso è stato più chiaro e trasparente. In Francia si era svolto in maniera analoga, col risultato della sostanziale scomparsa del Partito socialista. Il discorso potrebbe continuare con altri esempi.

Quello che emerge con chiarezza è che mentre si globalizza l’economia e, in parte, la cultura e i costumi, la politica si sta invece nazionalizzando in maniera estrema, con percorsi dominati da due caratteristiche: la scomparsa di una idea coerente e condivisa della sinistra e del progressismo, sia nelle forme della Terza via, che nelle forme ad essa precedenti; la molteplicità delle forme populiste che vengono assorbite nei partiti tradizionali solo nel mondo anglosassone; l’abbandono dell’austerità e più in generale di politiche di bilancio conservatrici da parte dei partiti conservatori; in generale: è scomparsa la simmetria politica tra diversi paesi che era stata la base anche degli equilibri internazionali.

Per questa ragione proprio mentre ce ne sarebbe più bisogno è diventato estremamente
complessa l’organizzazione multilaterale della globalizzazione, e sta invece prevalendo un dualismo rozzo e muscolare tra il capitalismo liberal-meritocratico associato alla democrazia e il capitalismo politico, associato all’autoritarismo. Il mondo non è mai stato così capitalista come oggi, come spiega Branko Milanovic nel suo nuovo libro, ma sorprendentemente questo ha portato a una estrema frammentazione politica del suo alveo democratico.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_