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Dice, non sei mai contento. E lo capisco: li conosco, quelli che stanno appostati in rete solo aspettando che esca una preda qualunque per sfotterla, attaccarla, criticarla, con ogni argomento e il suo contrario. Su Twitter, poi, dove ragionare è impedito per forza di cose, dismettere (dismiss) con sarcasmo senza argomenti ha l’alibi perfetto – non c’è spazio -, oltre che consentire l’affermazione di sé che da che mondo e mondo si realizza meglio con le critiche che con le lodi (mi si nota di più se dico che la penso come te o che ho un micropensiero tutto mio, qualsivoglia?).

E insomma, ci ho pensato, a perché mi fa questo effetto (ci sto arrivando, eh): in cerca di una ragione meno capricciosa per cui gli sbracamenti infantili e amiconi dei politici su Twitter mi suonino deludenti e imbarazzanti. Quello che commenta da tifoso teenager le partite di calcio (parecchi), quello che annuncia che si è iscritto a un concorso per vincere un iPad, quelli che si scrivono tvb, eccetera. Ogni giorno mi passano davanti agli occhi messaggi che potrebbero essere dei compagni di scuola di mio figlio, e vengono invece da deputati, leader di partito, ex ministri.

Certo, direte voi: è una strategia, suonare “uno di voi”, mostrarsi aggiornati e giovanili nell’uso del mezzo, alleggerire la distanza con noi paese reale, rendere meno rigidi i rapporti e  meno solenni i ruoli. “Uno di voi”. Strategia che fa di necessità virtù, peraltro, perché sembra che gli venga molto spontanea (sono molto più ingessati gli staff: quando vedi un tweet trombone e insignificante, quello di solito è un addetto all’account; se è una fesseria cazzara è un sottosegretario). E allora perché non funziona, e sembrano scemi? Sono io?

Secondo me no, non sono io. Ho parlato con un mio amico che si occupa di comunicazione politica e ci siamo chiesti come mai Obama fa lo scemo, canta, fa il fenomeno, spara marshmallow, ogni santo giorno, e non solo ci divertiamo noi, ma nessuno dei suoi avversari pensa di attaccarlo per la sua vacua bambineria. Nessuno gli rinfaccia le figurine Panini, per esempio, non c’è un fronte che dice “occupati di cose serie, non sei all’altezza, spostati ragazzino”; o che fa una battaglia demagogica contro “il leader bello, che sorride, che comunica bene” (battaglia intrapresa da D’Alema in una recente intervista, per esempio).

E abbiamo fatto due ipotesi, io e il mio amico. La prima è che il meccanismo di rendersi “uno di noi” è utile ed efficace in un sistema in cui i politici hanno un capitale di autorevolezza e solennità da compensare, una vera distanza di ruolo dai cittadini, un clima di rispetto e diverso status. Il presidente degli Stati Uniti, che gioca a basket e ordina un gelato, chiaro che funziona. Un parlamento considerato tempio della democrazia e suo garante, può solo godere di un’operazione simpatia dei suoi membri.
Ma in Italia, dove i politici non sono mai stati ritenuti meno autorevoli e straordinari di oggi? In Italia, dove i partiti hanno lavorato tanto a far eleggere “persone normali”, che ci suonassero familiari prima che affidabili, che ora ci sembrano una manica di cialtroni quali noi sappiamo di essere? Dove è tutto un pizza e fichi, dove daremmo del tu incontrandoli a metà dei parlamentari? In Italia quello che servirebbe loro è il contrario, dovrebbero stupirci con impreviste esibizioni di serietà e competenza: come ha dimostrato il successo di immagine del “sobrio”, ingessato e grigio governo Monti, fatto al massimo di battute professorali sottili; altro che “e stasera amala!”, se capite cosa intendo.

La seconda ipotesi è demografica: l’Italia è un paese vecchio, e navigati demagoghi come i nostri politici sanno che attaccare i più giovani, dar loro degli inesperti, fare gli offesi con i “rottamatori”, paga: chi ti ascolta in gran parte ragazzino non è e le sue metriche sono antiche, superate, soprattutto in tv. Anche lui si sente assediato dal rinnovamento, come te politico, e anche lui si sente di saperla più lunga. Poi invece su Twitter, dove ci sono “i giovani”, meglio fare i piacioni che parlano dei Simpson e della maggica. Mentre negli Stati Uniti in continuo cambiamento, i nemici di Obama sanno che attaccarlo sulla sua modernità e sui modi giovanili trova orecchie molto meno numerose.

Certo, sono semplificazioni, ipotesi: le cose poi sono sempre più complicate. Quello che so è che mi passano davanti agli occhi messaggi che scuoto la testa. Ma forse sono io.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).