Il Santo nero (quello con la scopa)

3 novembre – San Martin de Porres (1579-1639)

Pittore, lascia perdere: angeli neri non ne risultano. La Bibbia non ne parla, lo PseudoDionigi nemmeno… In compenso di Santi neri cominciano a essercene parecchi, e promettono di aumentare man mano che il cattolicesimo diventa una confessione sempre più africana e sudamericana. Ma il primo santo nero cattolico qual è stato? È difficile dire. Se escludiamo i nordafricani (tra i quali pezzi da novanta come Agostino e Antonio Abate), santi diventati neri per errori di traduzione o perché le antiche statue si erano affumicate creando un equivoco,  e gli etiopi che fanno come sempre storia a sé… può darsi che il primo santo cattolico propriamente “nero” sia stato il peruviano San Martin de Porres (mi sbaglio? Bastonatemi nei commenti). Anche se è stato canonizzato solo nel 1962 – nella sua patria però era già adorato in vita. Certo, più che nero era un mulatto, ma chi non è un po’ mulatto in Sudamerica? Si sa come la tendenza degli hidalgos spagnoli a partire scapoli e a seminare figli illegittimi un po’ dovunque abbia contribuito a rendere il melting pot sudamericano più amalgamato di quello statunitense. Lo stesso Martin era figlio di un pezzo grosso dell’amministrazione coloniale, che lo ebbe dalla sua domestica e ci mise un po’ a riconoscerlo – poi comunque partì per Panama dove lo avevano nominato governatore. Martin rimase a Lima e divenne apprendista in una bottega di barbiere-chirurgo: a quel tempo era più o meno lo stesso mestiere e si faceva più o meno con le stesse lame. Per questo Paolo VI lo ha nominato protettore di barbieri e parrucchiere, fatelo presente al vostro coiffeur cattolico la prima volta che attacca una tirata contro i negri: lo sai di che colore è il tuo Santo Protettore?

Non è invece patrono dei chirurghi; eppure Martin fu un grande guaritore, e forse la sua origine mulatta c’entra per qualcosa. In un mondo in cui la medicina si studiava ancora sui testi aristotelici, e dissezionare cadaveri ti portava davanti all’Inquisizione, Martin senza nessun titolo accademico poteva davvero saperne più dei professionisti laureati. Dalla parte materna aveva probabilmente a una tradizione erboristica e autoipnotica africana sconosciuta a latini e indios. Viceversa africani e indios potevano trovare nella sua bottega medicine di origine europea a loro altrimenti precluse. Il suo schermirsi quando i pazienti soddisfatti gridavano al miracolo è un tratto tipico di molti guaritori (anche Gesù nel Vangelo prega gli apostoli che non ne parlino troppo in giro, col bel risultato che sappiamo): può essere cattolicissima modestia, ma anche un modo per conservare certi segreti del mestiere ed evitare magari l’accusa di praticare la magia nera, la magia dei neri.

Del resto Martin aveva un solo sogno nella vita: vestire il saio bianconero dell’ordine domenicano, viaggiare per il mondo e trovare il martirio, magari in Giappone. Morì invece relativamente anziano, senza aver quasi mai lasciato la sua città natale. I domenicani lo accettarono tra loro con qualche difficoltà: è vero che aveva un papà di una certa importanza, ma insomma, come dire, era nero. Per una decina d’anni lo tennero come inserviente: da lì l’iconografia tradizionale del Santo-nero-con-la-ramazza-in-mano, per cui se andate in giro per chiese e volete stupire gli amici, mi raccomando: se ha in mano la spada è San Paolo, se ha in mano la testa mozzata è San Dionigi di Parigi, se ha la testa di cane è San Cristoforo (ne parleremo), se è nero e ha la scopa in mano, beh, andate tranquilli, è Martin de Porres, chi altri?

L’inserviente, o bidello che dir si voglia, è una figura tragica. Spesso ne sa più dei professori, e deve far finta di niente, mentre torce i pugni intorno al manico. Immaginatevi San Martin de Porres, guaritore, in un convento domenicano, durante una pestilenza, con tutti questi frati senza la minima cognizione:
“Ehm, fratello, per lenire il dolore di questo moribondo si potrebbe fargli inalare il fumo di una certa erba medicamentosa che…”
“Zitto tu, bidello negro”.
“Sì, scusa fratello, non intendevo disturbare fratello, c’è qualcosa che posso far…”
“Va’ in cucina, chiedi se hanno altre sanguisughe”. (Continua)

Alla fine i miracoli, la bontà d’animo e magari la tendenza a levitare durante le preghiere finirono per abbattere i pregiudizi razziali: Martin fu ammesso tra i frati nel 1611, dividendosi da quel momento in poi tra l’infermeria e le mense dei poveri. Durante un’epidemia si narra che abbia curato da solo sessanta confratelli: a leggere bene, si capisce che i confratelli erano in quarantena e che nessuno aveva il permesso di toccarli, ma Martin era di quel genere di santi che quando abbraccia i lebbrosi si premura di toccare ben bene le piaghe (a uno si racconta che offrì il suo letto). Altre fonti riportano contrasti con i suoi superiori che pur senza microscopi e manuali di epidemiologia avevano ormai capito (in anticipo su Don Ferrante) quanto toccare i malati fosse controproducente. Di fronte a loro Martin difende il principio della carità cristiana; tanto più che di quel convento era stato inserviente per tanti anni, per cui è plausibile che le serrature non avessero più segreti per lui, come per il dottor Foreman. Insomma, questi sessanta sostengono di essere stati tutti curati da Martin, che si materializzava nelle loro celle senza passare dalla porta. Tutti e sessanta? Ah, ma un altro attributo di San Martin è l’ubiquità – senza spostarsi da Lima fu avvistato in Cina, Algeria, Giappone, Messico…E qui l’avvocato del diavolo che c’è in me sussurra: non è che per i viaggiatori del tempo i neri si assomigliavano un po’ tutti, per cui appena ne vedevano uno educato e sorridente lo prendevano per Martin de Porres? Ma persino alcuni schiavi africani dicevano di averlo già incontrato prima di arrivare a Lima.

Adorato da indios, schiavi e viceré, Martin morì a cinquantanove anni. Prima di seppellirlo, tutti gli abitanti di Lima vollero salutarlo, e siccome la santità era ormai data per scontata, molti cercarono per l’occasione di procurarsi una reliquia, strappando via un lembo di quel lurido saio che da anni Martin aveva rifiutato di cambiarsi. Prima della sepoltura il vestito sarebbe miracolosamente ricresciuto tre volte; in questo modo magari si tentava di spiegare l’improbabile quantità di reliquie circolanti a Lima dopo la morte del Santo.

Un’altra immagine ricorrente è San Martin che nutre dallo stesso piatto un cane, un gatto, un canarino e un topo. Martin è l’unione mistica tra padrone e schiavo, predatore e preda. Lui comunque era vegetariano.

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.