Il Jobs Act è una cosa di sinistra

A voler ascoltare le critiche piovute sul Jobs Act, sarebbe di sinistra un mercato del lavoro nel quale solo il 15% dei nuovi ingressi è a tempo indeterminato e dove i giovani hanno una possibilità di lavorare soltanto fingendosi parasubordinati o addirittura autonomi. Sarebbe dunque di sinistra un mondo del lavoro dove, insieme alla totale indeterminatezza del rapporto di lavoro in termini di stabilità, una parte sostanziale dei lavoratori non gode di diritti elementari quali la maternità, la malattia, la formazione, i contributi. E di sinistra sarebbe lasciare tutto come sta, nell’attesa di un giorno in cui si potrà miracolosamente garantire tutto (inamovibilità del posto di lavoro e tutti i diritti connessi) a tutti. Peccato che nell’attesa siano passati gli anni, e che ci siamo permessi di avere ragazzi che oggi hanno più di 40 anni e un contratto a tempo determinato non l’hanno mai visto, nemmeno col binocolo.

Io invece credo sia di sinistra stabilire che tutte le donne che aspettano un bambino debbano essere tutelate dalla legge. Che ogni persona che occupa una posizione di lavoro permanente in un’organizzazione aziendale debba essere parte integrante di quell’organizzazione: non sentirsene ospite transitorio ma parte a pieno titolo, poter progettare in quell’organizzazione un percorso di vita e di carriera, essere formato e crescere professionalmente. Che sia di sinistra distinguere tra la partita IVA del mega avvocato esterno che tratta le questioni legali dell’impresa con parcelle di decine o centinaia di migliaia di euro, dalla partita IVA del giovane che per seicento euro al mese esegue le direttive di un capoufficio che invece lavora con un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Il Jobs Act supera l’articolo 18 per i nuovi assunti, disboscando allo stesso tempo i contratti parasubordinati che sono stati il paradigma lavorativo per tutte le ultime generazioni che si sono affacciate al mondo del lavoro. Lascia dunque le cose come stanno per chi ha un contratto assistito dall’articolo 18, ma cerca di assicurare ai nuovi assunti un contratto vero invece di un co.co.pro. Stabilisce inoltre, come da tempo andavamo tutti dicendo, che il contratto economicamente più vantaggioso dev’essere quello a tempo indeterminato. Allarga le norme di maggior garanzia (le norme per la maternità, per esempio) anche a chi già lavora senza queste garanzie. E introduce garanzie economiche per chi resta fuori dal mercato del lavoro.

Tutto si può dire, insomma, tranne che si tratti di una manovra contro i lavoratori o contro la dignità del lavoro. Poco dignitosa per il lavoro era la situazione che abbiamo avuto alle spalle nei decenni scorsi, quando si è unita un’enorme flessibilità nei nuovi ingressi sul mercato a un’assoluta mancanza di flessibilità per le uscite dal mercato, con il risultato di avere lavoratori a flessibilità zero e sicurezza cento (chi lavorava già) e lavoratori a flessibilità cento e sicurezza zero. Una forma di moderna schiavitù che ci avviamo finalmente a superare.

Ivan Scalfarotto

Deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Esteri. È stato sottosegretario alle riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento e successivamente al commercio internazionale. Ha fondato Parks, associazione tra imprese per il Diversity Management.