Cosa ho imparato da Ursula Le Guin

Quando ero più piccolo, compravo tantissimi libri fantasy. Quasi tutti erano pubblicati da Editrice Nord. Erano belle edizioni, corpose, con la copertina rigida o morbida; la carta spessa, buona, di quella che, con il tempo e l’umidità, finisce per ingiallire. Tra le edizioni a cui sono più affezionato ci sono i due volumi della Saga di Earthsea di Ursula Le Guin. Uno, economico, ha una copertina azzurra, con una sagoma incappucciata tra due rocce. L’altro ha una copertina dura, rossa e gialla, con un drago nero.
Ricordo che amavo questi due libri. Non credo che fosse solamente una questione di immagini – quelle delle copertine, appunto. La trilogia di Earthsea è stato uno dei primi romanzi che ho comprato da solo, un giorno dopo scuola. Andavo ancora alle elementari. Ci misi un po’, per leggerlo. Ma alla fine ne rimasi conquistato. La Le Guin raccontava una magia che non avevo mai conosciuto prima. Una magia che basa tutto il suo potere sulle parole. Ged, il protagonista della saga, viene presentato come un ragazzo di talento, nato in mezzo ad allevatori e a nidi di sparvieri. Diventa mago quasi per caso. Ambizioso, arrogante, sicuro di sé, finisce per farsi del male, per evocare un mostro (il sé stesso peggiore, ho capito dopo qualche anno) e per perdere parte di quel potere di cui era tanto orgoglioso. È una delle migliori metafore che abbia mai letto sulla crescita.

La magia è qualcosa di difficile, nei libri della Le Guin. Non adatta a tutti. Miracolosa, a volte. Altre terribile. Non viene mai descritta come una cosa straordinaria. O meglio: come una cosa sorprendente. Alcuni incantesimi hanno effetti invisibili, intangibili per chi non ha il tocco. Il talento, cioè, della magia. È questione di parole. Ogni cosa e ogni persona ha un vero nome, un nome a cui risponderanno sempre. Un mago conosce questi nomi e sa scoprirne di nuovi. Se conosci il vero nome di una persona, puoi controllarla. È un meccanismo complesso, lo ammetto; forse difficile per un bambino. Ma quando finalmente capii di che cosa si trattava, finii per scegliere la magia di Earthsea come la migliore in assoluto. Nella mia personalissima classifica, era migliore di quella di Harry Potter e anche di quella di Gandalf il Grigio.

I maghi cominciavano a diventare, ai miei occhi, qualcosa di più di semplici incantatori. Nel Ged della Le Guin ho riconosciuto la complessità del carattere, la forza della volontà; la passione, anche, per la persona amata. E poi la saggezza. Un concetto che per me era lontanissimo. Una parola quasi impronunciabile. Senza senso. Senza contenuto. Chi è saggio? I vecchi. Non i bambini. Ma mi sbagliavo.
Leggendo Earthsea, ho scoperto l’importanza delle parole. Che, certo, non servono per fare incantesimi, ma che hanno significati profondi, fuggevoli, intensi. E che, proprio come la magia, hanno un effetto diverso a seconda di come vengono utilizzate. È il loro potere. Una lezione che ho imparato soprattutto grazie a Ursula Le Guin e ai suoi libri.

Gianmaria Tammaro

Napoletano convinto dal '91. Scrive di cinema, serie tv e fumetti. Gli piace Bill Murray. Il suo film preferito è Ricomincio da tre.