Autorizziamo i funerali prima del 3 maggio

Non sto attaccando il governo, non sto attaccando le ordinanze di governatori e sindaci. Però con il divieto di celebrare i riti funebri, senza che ce ne accorgessimo, abbiamo sbagliato. Eravamo impauriti, anzi, di più, eravamo sbigottiti e attraversati da quella strana euforia che ti danno, in certi momenti, la preoccupazione e l’inquietudine.

E così non abbiamo pensato al peso delle conseguenze della decisione, inutile e crudele, di non far celebrare i funerali. Parlo con il senno di poi, naturalmente. Su questo punto ha ragione Agamben, in un contesto di altre cose interessanti che però non condivido.

E non direi, come lui dice, che siamo crollati eticamente. Abbiamo però capito che possiamo farlo, che dobbiamo vigilare di più su noi stessi e su come stiamo cambiando.

Certamente il primo mese di quarantena è stato particolarmente carico di timori. Il divieto degli onori funebri è però iniziato prima del lockdown e all’inizio, pochi giorni, è stato saggiamente non rispettato, anche se qualche timida raccomandazione di contenimento da parte dei sacerdoti è stata data. Questo atto saggio di non applicazione del divieto è però stato dissennatamente, nei primissimi giorni, compiuto senza prendere delle contromisure concrete. E ci siamo potenzialmente esposti al contagio (erano i giorni degli hashtag di ogni colore e degli aperitivi).

Poi è arrivata la chiusura totale e non ci siamo neppure accorti, compresi nella normalizzazione della nostra inquietudine, che avremmo benissimo potuto e anzi dovuto celebrare i funerali.

Dal punto di vista organizzativo non c’è nulla di più semplice: sarebbe bastato tenere le persone non a uno ma a tre metri di distanza, limitare per esempio a 20 persone i presenti, magari con un vigile, e avremmo consentito ai vivi di salutare i morti. E possiamo ancora farlo. Altro che aprire le librerie!

Abbiamo trovato un modo per tenere aperti i supermercati (che hanno sempre avuto nei propri spazi decine quando non centinaia di clienti contemporaneamente, più o meno distanziati); abbiamo aperto, com’è giusto, i negozi per l’abbigliamento dei neonati; stiamo studiando il modo per aprire le scuole elementari con una dislocazione di corpi vivi in uno spazio tutto sommato angusto; e non siamo in grado di posizionare 20 persone ferme attorno a una bara alla presenza di un vigile nello spazio di una chiesa parrocchiale (o di una chiesa scelta apposta per i suoi metri quadrati)?

Abbiamo sbagliato. Abbiamo capito che per distrazione e inquietudine si può perdere umanità. Rimediamo al più presto. Prima del 3 maggio.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.