L’apertura delle librerie è un simbolo del contrario

Quella della riapertura delle librerie è una scelta curiosa.

Ci si dice che dobbiamo triplicare gli sforzi, ci si dice che i contagiati sono dieci volte di più (dieci volte di più, non il doppio) di quelli noti, ci si spiega che basta fare un passo falso (come ne sono stati fatti di clamorosi, a tutti i livelli, all’inizio di questa vicenda, ma questo è un altro discorso) e ricomincia tutto.

Inoltre ci si ammonisce sul fatto che i bambini non possono fare il giro del palazzo per prendere una boccata d’aria e sgranchirsi le gambe – ed è incredibile che ancora nessun decisore abbia neppure percepito che anche quello dei bambini chiusi in casa è un problema di salute pubblica  –, perché si sospetta che i genitori ne approfitterebbero.

Poi però si dice che le librerie, curioso privilegio merceologico, possono aprire. Ma è evidente che si tratta di una scelta simbolica (perché altre attività avrebbero allora potuto riaprire mentre, giustissimamente, non riaprono ancora).

Questa scelta, curiosa e incomprensibile, di cui sembra sfuggire la ragione concreta, anche perché non tiene neppure conto della diversità delle zone (un conto è dare una deroga in zone più tranquille, ma allora perché darla proprio alle librerie, un conto è darla, per esempio, a Bergamo, da dove scrivo, o a Milano), è dettata da motivi simbolici e come tale è stata accolta: apriamo le librerie perché la cultura ci salverà, la cultura è il cibo dell’anima e tutte queste amenità trite e ritrite.

Questa scelta simbolica, nella situazione che stiamo vivendo, non ci porterà domani a metterci tutti in fila per andarci a comprare la Critica della ragion pura o per accaparrarci chissà quale tesoro culturale di cui non possiamo proprio fare a meno fino al 3 maggio, ma dimostra soltanto che ci manca del tutto la capacità di produrre simboli collettivi efficaci e sensati.

Ripetiamo a pappagallo, in modo asfittico e in un paese che è tra gli ultimi in Europa per lettori, quello che convenzionalmente sentiamo ripetere da decenni, e cioè tutto l’insopportabile chiacchiericcio simbolico su lettura, cultura, bellezza, rinascite e rinascimenti.

Se c’è qualcosa che questa, secondo me non giustificata, scelta di deroga simbolizza, è propria la nostra mancanza di capacità di creare simboli vivi e non asfittici e non convenzionali, di mobilitarci su qualcosa di comune, di coraggioso, di fantasioso (tutte cose, comunità, coraggio, fantasia che peraltro nei libri spesso si trovano).

È un simbolo sì, ma che simboleggia il contrario di quello che si vorrebbe.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.