Tre proposte per l’Europa

Devo ammetterlo: cerco tra i programmi dei partiti e dei movimenti qualche proposta concreta quanto tale. Qualcosa che ci porti a un livello più utile di funzionamento o di integrazione dell’Unione. Chessò, qualcosa su come cambiare i rapporti tra il parlamento e la commissione, sulle liste transnazionali, sull’elezione del presidente, sul ruolo dei governi e il loro ridimensionamento nel funzionamento di tutta la baracca (o anche qualcosa di chiaro che vada nel senso contrario). Oppure qualcosa sull’Europa a due velocità di integrazione (perché Francia e Germania con i trattati bilaterali stanno facendo quello, no? E noi perché non ci siamo?).

Nella mia ingenuità pensavo che fosse il momento di discutere non solo dei valori (per favore aboliamo la parola “valori” dal dibattito politico: non vuol dire nulla), ma soprattutto di quelle questioni, pensavo che qualcuno dicesse “io voglio fare questo, ve lo propongo, anche se è difficile. E da qui comincio a parlare bilateralmente con chi ci sta, con i partiti europei che ci stanno, o anche solo con le correnti che ci stanno dei partiti che non ci stanno…”.

Insomma mi aspettavo stupidamente elaborazione politica da parte della politica, ma per il momento ho trovato poco o nulla (forse il programma più concreto in questo senso è quello del movimento paneuropeo Volt).

Da parte mia avanzo qui tre minuscole proposte – lasciando quelle grosse to whom it may concern – che vanno nella direzione di un’integrazione di tipo culturale.

La prima l’avevo già avanzata qui qualche anno fa – un’ora di Europa – e nasce dalla constatazione che come europei non ci conosciamo ancora abbastanza.

Ogni volta che sento una filastrocca tedesca, una favola francese, un modo di dire particolare, mi rendo conto della straordinaria diversità europea (e di quanto questo sia anche spaesante). Ma ciò è nulla rispetto alle differenti concezioni nazionali delle cose, alla varietà del senso storico, alle definizioni che le comunità (nazionali, regionali e anche di regioni transfrontaliere, locali) danno di sé e della propria storia.

Ci conosciamo poco perché raccontiamo a noi stessi solo la nostra storia. I francesi sono convinti che tutto cominci nel 1789 e guardano solo dall’altra parte del Reno, i tedeschi sono spesso concentrati sul respiro dell’Est e sulla propria pluralità interna, gli austriaci a volte si vedono come uno spazio di civiltà non pienamente riconosciuto, gli italiani hanno imparato a scuola a diffidare dei germanofoni, etc.

In attesa di una narrazione europea complessiva (peraltro difficilissima da congegnare), abbiamo bisogno di conoscerci, di essere curiosi gli uni degli altri, di arricchire le storie bellissime delle nazioni con il contatto con gli altri, di ampliare davvero il nostro spazio a spazio europeo, abbiamo bisogno di formare dei leader europei, a loro agio nel continente. Questa curiosità non può che nascere negli anni dell’educazione, dei sussidiari, dell’apertura degli orizzonti.

Perché non introdurre un’ora strutturata di Europa nelle classi elementari? Perché non introdurla su scala europea? Non servono ideologismi, basterebbe dedicarsi alle favole degli altri, alle filastrocche degli altri e magari nelle lingue degli altri – giusto per stabilire un contatto sonoro, non necessariamente per imparare la lingua – ai sapori, ai paesaggi degli altri, con l’unica finalità di rendere curiosi degli altri.

Perché non introdurre un’ora strutturata di Europa nelle scuole medie? Perché non raccontare elementi delle storie degli altri, di quelli che sono i nemici storici, di quelli che hanno vissuto eventi comuni in modo diverso, o di quelli lontani che hanno negli occhi e nella memoria storica altri paesaggi? Discutere a livello europeo di un’ora di insegnamento dai 6 ai 13 anni in tutti i nostri paesi è una battaglia che si può fare e che può essere molto utile.

La seconda proposta è quella di un’università europea.

In questi decenni di integrazione l’Unione Europea ha fatto tantissimo per la ricerca. Gli ERC Grant, finanziamenti importanti per la costruzione di gruppi di ricerca su temi innovativi in ogni disciplina, o i Marie Curie Fellowships, finanziamenti a singoli ricercatori per condurre il proprio lavoro in un’università o centro di ricerca europei (escludendo il paese di partenza del ricercatore, quindi condizionando in modo strategico il finanziamento alla mobilità), non solo hanno consentito a più di centomila studiosi europei di costruire le proprie ricerche, ma hanno anche permesso e permettono, in modo tacito ma operativissimo, uno scambio costante di metodi, di idee, di innovazioni, di reciproca conoscenza tra i vari sistemi nazionali, di miglioramento di processi anche burocratici nell’imitazione di ciò che funziona.

Si tratta di uno degli esempi più evidenti dei vantaggi portati dal ragionare e agire su scala europea. (Altri vantaggi per noi italiani verrebbero anche dal semplice imitare alcuni dispositivi nazionali di altri paesi, come proponevo qui, ma è tutta un’altra storia).

Bene, perché non facciamo allora un passo ulteriore e costruiamo un sistema di università gestite dall’Europa (che è, lo si voglia o no, un modello di buona gestione rispetto a tantissimi sistemi nazionali), ma pienamente integrate e cofinanziate ciascuna in un sistema nazionale?

Esistono già università europee (una proprio in Italia), perché non costruire una rete, con scambio di professori, di personale amministrativo, e con una maggiore integrazione nel sistema nazionale, in modo che queste strutture possano diventare leve di cambiamento e di conoscenza reciproca? Non potrebbe questo motivare cambiamenti e miglioramenti nei vari sistemi statali della formazione e della ricerca?

La terza proposta è quella di una televisione europea.

Un’industria culturale comune europea di fatto non c’è. E ce ne sarebbe forse bisogno. Quell’azione di ulteriore conoscenza reciproca che mi pare essenziale potrebbe essere molto facilitata da un tv dell’Europa. Non penso ovviamente a una all news 24 in inglese (o in altre lingue), e non penso neppure a un televisione di informazione politica, anche se in questo senso un’informazione “continentale” sarebbe utile: fa anche un certo effetto straniante il fatto che il tg delle 20 in ogni paese europeo si interessi solo al dibattito o ai fatti nazionali ignorando del tutto gli altri paesi, ai quali siamo legati in un destino in gran parte comune. E un notiziario anche europeo prima o poi ci vorrà.

Ma penso soprattutto a una televisione come la franco-tedesca Arte, nata in seguito a un trattato tra Francia e Germania (guarda caso, le due velocità…), che ha una programmazione per più di metà di documentari, per un quarto di film, con due terzi totali di programmazione inedita, secondo una linea molto riconoscibile, che rende un grandissimo servizio alla conoscenza reciproca e alla creazione di uno spazio comune.

Certo sono proposte come tante altre, ma mi pare che il momento delle proposte, di queste e di quelle più importanti, sia proprio questo.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.