La buona idea della Tobin tax

Bravo Sarkozy: è stata proprio una bella “uscita” quella sua di ieri, all’assemblea generale delle Nazioni Unite sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, sulla necessità di tassare le transazioni finanziarie per combattere la povertà.
Un intervento convinto? Demagogico? Furbo? O che altro ancora?
Francamente poco importa. Ciò che conta è che abbia riacceso i riflettori su un’ipotesi di tassazione, la cosiddetta Tobin tax, in merito alla quale si discute da decenni, sulle cui modalità concrete di applicazione sistematicamente gli economisti si dividono (e, non di rado, si deridono) e i politici quasi sempre “nicchiano”. Tra gli ultimi, il nostro ministro dell’Economia Giulio Tremonti che due settimane fa a Bruxelles, a margine della riunione dei ministri delle finanze dei Paesi membri dell’Unione Europea (Ecofin), affermava: «E’ una discussione affascinante e con un profilo etico. Ma o lo fanno in tutto il globo, oppure diventa una specie di “suicidio”, la Banca centrale europea ha raccomandato di non fare stupidate».
Ma come stanno davvero le cose?
La Tobin tax, prende il nome dal premio Nobel per l’economia James Tobin che nel 1972 decide di provare a dare attuazione a una intuizione sia del suo “maestro” John Maynard Keynes, che già nel 1936 sosteneva che «l’introduzione di una forte imposta di trasferimento per tutte le negoziazioni potrebbe rivelarsi la riforma più utile allo scopo di mitigare il predominio della speculazione sulla intraprendenza», che di John Hicks, altro Nobel per l’economia, che, alla fine degli anni Cinquanta usò la metafora dei “granelli di sabbia” da inserire nei meccanismi della speculazione finanziaria.
Tobin, quindi, propose di introdurre una tassa su tutte le transazioni finanziarie con un’aliquota molto bassa, dell’ordine dello 0,1%, che avesse lo scopo di contrastare la speculazione finanziaria e, nel contempo, liberare risorse da destinare a favore dei Paesi più poveri.
È stato calcolato che oggi, anche se applicata solo al mercato valutario, garantirebbe ben 1200 miliardi di dollari all’anno.
Naturalmente, per rivelarsi efficace, la Tobin tax richiederebbe tutta una serie di “precauzioni” per evitare fughe di capitali dai Paesi che la applicano verso quelli che non la applicano: implica decisioni condivise a livello planetario circa le modalità di utilizzo dei soldi ricavati a favore dei Paesi poveri, comporta l’istituzione di autorità di vigilanza circa il corretto uso dei fondi e, comunque, necessita di tante altre valutazioni ancora. Ma si tratta, in ogni caso, di questioni tecniche per le quali le soluzioni si trovano sempre. A patto che ci sia la volontà politica di cercarle. Nel discorso di Sarkozy a New York questa volontà è emersa con chiarezza. E merita, quindi, un plauso.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com