Sarò proprio io a prendere il virus?

Facendomi degli scrupoli sono uscito per andare in farmacia a prendere un medicinale che non c’entra nulla col Covid-19. A parte in negozio, dove mi hanno imposto una coreografia russa per restare a 1m di distanza da chiunque, quel poco che ho visto di Firenze era ancora attivo, con gente in strada, nei bar, nei bus. Senza dubbio meno del solito, ma ci sono.

Facciamo un gioco: immagina una colonna di mattoncini, sono le persone che stanno a casa. Più è alta la colonna e meno persone soffriranno per via del virus. C’è chi deve lavorare e non può non farlo, come il fattorino o il farmacista. Via un mattoncino, ma lo capisco. C’è chi ha un’urgenza, come quel tizio in bus, via un altro mattone, ma lo capisco. C’è chi pensa che sarà mai un caffè, come quel ragazzo lì al bar, via un mattone, ma lo capisco. Chi pensa dai una giratina sì, come quella madre con bambina, meno due e lo capisco. Chi pensa che chiuso/a in casa si impazzisce e lo capisco. Capisco chiunque e la colonna si abbassa.

«Ma sarò proprio io a diffondere o prendere il virus?» il bello di questa domanda è che per TE è no, ma per VOI è sì. Se mi leggete in mille, per una persona tra voi forse la risposta è sì. Se siete diecimila, dieci si prendono un sì. Non è un calcolo preciso ma le epidemie funzionano così, sui grandi numeri. IO non è un grande numero, NOI siamo grandi numeri. E purtroppo non siamo preparati per percepire – e per reagire a – i grandi numeri, come ci sta insegnando il cambiamento climatico.

Sono relativamente giovane e in buona salute. Mi manca un organo interno (milza), quindi se sei più giovane di me rischio più di te, ma se sei anziano no. Sono fortunato perché non vivo da solo, perché sono notoriamente asociale, perché amo leggere e meditare, perché lavoro in gran parte al computer, tutte cose che si fanno benissimo in casa.

Eppure fatico a non andare al bar a lavorare o fare una cena con Alessia perché sono cose che adoro. Nella media sono comunque messo bene e forse per te sarà peggio, ti capisco. Cambiare abitudini è difficile, sebbene dopo un po’ è un esercizio piacevole, perché ci consente di rivedere le nostre autentiche necessità e di accorgerci dove la vita ci stava portando senza nemmeno saperlo.

Detto questo (lo dico per esperienza) intubati in ospedale si sta di merda. In realtà si sta neutri perché si è sotto anestesia, ma dopo non è uno spasso, lo so appena rievoco quel tubo che scorre via dalla trachea. Insomma è uno schifo. Tutto questo per dire che se resto a casa non è perché sono più bravo di te, ma perché sono più fortunato: amo la solitudine e ho un ricordo ospedaliero a dare concretezza al pericolo. Non sono fatto per i grandi numeri come te. Per questo la metto sul personale e ti parlo come se tu fossi “un grande numero”. Perché lo sei.

Francesco D'Isa

Artista e scrittore. Da quando è nato, nel settembre del 1980 a Firenze, Francesco D'Isa ama la sintesi e odia la biografia.