I bambini del dottor Korczak

Le utopie, scriveva Elias Canetti, hanno un che di dimesso che fa sì che gli uomini ne siano respinti. Non le utopie pedagogiche. A volte viene il sospetto che i pedagoghi siano forse i veri rivoluzionari. Essi paiono aver capito che il mondo si può migliorare soltanto partendo dall’educazione dei bambini: insegnando loro i valori di eguaglianza, fratellanza, libertà e solidarietà è possibile realizzare dei cambiamenti profondi e tentare di mettere al sicuro il futuro dell’umanità. Se questo però non lo si fa nei primi anni, fino all’adolescenza, dopo è troppo tardi e tutto diventa più difficile. La testa e il cuore delle persone adulte non si cambiano, ormai sono troppo rigide e piene di pregiudizi. A quel punto, gli individui vanno convinti. Ma non è facile persuadere le persone ad andare, per esempio, contro i propri interessi. Questo pensava l’ebreo polacco Janusz Korczak. E queste furono anche le convinzioni di Socrate, Comenio, Pestalozzi, Piaget e di tutti quei pedagoghi che hanno ragionato e sperimentato come far crescere, con amore, i futuri uomini.

La prima volta che sentii parlare del dottor Janusz Korczak fu alla scuola elementare: la Scuola città Pestalozzi di Firenze, fondata nel 1945 nel quartiere popolare di Santa Croce, dal pedagogista Ernesto Codignola. Una scuola dove si ritrovavano ragazzi e insegnanti diversi per estrazione sociale, orientamento religioso (cattolici, ebrei, valdesi) e politico, che della tolleranza e della comprensione reciproca facevano una regola di vita. Una scuola largamente sperimentale sia sul piano didattico, che su quello dell’organizzazione democratica della vita comunitaria: veniva cogestita, sia dagli adulti che dai ragazzi, come una piccola città, dotata di un’amministrazione in miniatura con tanto di sindaco, assessori, consiglieri comunali e corte di giustizia. Da questi aspetti derivava il nome della scuola. Venivano valorizzate le attività manuali (come tipografia, falegnameria, orto, giardino) e altre attività importanti per la formazione culturale (come il giornale e la biblioteca). I ragazzi rimanevano a scuola fino al tardo pomeriggio, disponendo anche del servizio mensa (dove, a turno, aiutavano le cuoche a cucinare). Il motto, e la filosofia sorniona, di Scuola-città era: Festina lente (“affrettati lentamente”), un motto attribuito all’Imperatore Augusto dallo scrittore Svetonio. Un motto che era stato usato, accostandolo alla figura di una tartaruga con la vela, da Cosimo I dei Medici e scelto dall’editore e tipografo veneziano Aldo Manuzio.

Questo metodo pedagogico Janusz Korczak lo apprese nel 1901, quando, da Varsavia dove stava studiando medicina, decise di recarsi a Zurigo per approfondire la conoscenza dell’opera del grande pedagogista e riformatore svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), come lui orfano di padre e fondatore di scuole-convitto (a Neuhof, Stans, Burgdof e Yverdon) dove si praticò un metodo educativo che cambierà il modo d’intendere l’insegnamento elementare in tutta Europa. Korczak rimase a studiare in Svizzera fino al 1906. Quel metodo, lo applicherà in Polonia nelle scuole degli orfanotrofi ebraici che dirigerà.

Tra le molte immagini che ci mostrano il dolore, le umiliazioni, la fame e la morte che segnarono il dramma del Ghetto di Varsavia, ce ne sono due che raccontano una storia diversa. Una, mostra gli eroici rivoltosi male armati che, nell’aprile del 1943, vendettero cara la pelle e mandarono all’Europa un segnale di riscossa contro i tedeschi e, l’altra, ci fa vedere l’anziano dottor Korczak, assieme all’educatrice capo Stefania Wilczyńska e gli altri suoi collaboratori, che, il 5 agosto del 1942, guidarono un corteo di bambini ebrei orfani che marciavano fino al treno che li avrebbe deportati nel campo di sterminio di Treblinka, cantando e tenendosi per mano, dietro le loro verdi bandiere. Un’immagine (posta significativamente a conclusione del bel film del regista polacco Andrzej Wajda, Korczak, del 1990) che colpisce per la dignità e il coraggio. Queste furono le caratteristiche, assieme all’umanità e al rispetto per i bambini, della vita del dottor Korczak: un uomo grande non soltanto alla fine della sua vita, ma anche per le sue idee e per le cose che fece e scrisse.

Janusz Korczak si chiamava in realtà Henryk Goldszmit e nacque a Varsavia (che allora apparteneva all’Impero Russo) il 22 luglio del 1878 (o 1879: il padre per molti mesi si era “dimenticato” di iscriverlo al registro), da una famiglia ebraica parzialmente assimilata, liberale, legata alla cultura e alle tradizioni polacche.
Korczak era molto legato ai suoi genitori e la loro scomparsa fu un trauma che lo segnò profondamente. Il padre, famoso avvocato, morì nel 1896, dopo una lunga malattia mentale (forse provocata dalla sifilide) che aveva prosciugato tutti i beni della famiglia. Da quel momento Henryk dovette mantenere la madre che morirà nel 1920 di tifo esantematico, proprio mentre stava curando della stessa malattia il figlio, contagiato nell’ospedale dove lui lavorava. Ai suoi genitori Korczak dedicò un libro: Sam na sam z Bogiem. Modlitwy tych, ktòrzy sie nie modla (A tu per tu con Dio. Preghiere per coloro che non pregano, 1922). Mentre, nel “racconto didattico” Spowiedz motyla (Confessione di una farfalla, 1914), accennò ai suoi complicati legami familiari e anche alle sue tendenze sessuali: «Nei miei sogni erotici compaiono delle donne. Ma anche dei ragazzi».

La caratteristica principale di Korczak fu di avere un enorme bisogno di donare amore (di riceverne si preoccupava meno: gli bastavano un sorriso o la fine di un pianto). La sua dedizione totale ai bambini non va confusa con l’attrazione sessuale. In molti pedagoghi, del resto, i sentimenti nei confronti dei bambini stanno su un confine sottile, ma, salvo rare eccezioni, il loro amore per i fanciulli non è legato a un interesse erotico. Korczak visse in una “grande famiglia” fatta di collaboratrici, assistenti e centinaia di bambini orfani e poveri. Un’esistenza che lasciava poco spazio alla dimensione privata. Ma la decisione di non sposarsi, non avere una propria famiglia, e, soprattutto, dei figli fu dettata anche da una lucida, amara, consapevolezza: «Uno schiavo non ha diritto ad avere bambini. Io, ebreo polacco sotto l’occupazione zarista, (nel 1911) ho scelto di servire il bambino e la sua causa» (lettera a Mieczysław Zybertal, 30 marzo 1937).

Nel 1899 Korczak-Goldszmit iniziò a studiare medicina all’Università di Varsavia. Ma la sua precoce passione fu la letteratura. Si cimentò nello scrivere testi e drammi teatrali, che furono firmati con lo pseudonimo di Janusz Korczak, nome di un eroe di un romanzo dello scrittore polacco Jòzef Ignacy Kraszewski (1812-1887), autore di romanzoni storico-patriottici come, appunto: Historia o Janaszu Korczaku i o pięknej miecznikównie: powieść z czasów Jana Sobieskiego (La storia di J.K. e della bella portatrice di spada: romanzo dei tempi di Jan Sobieski, 1874). Questo pseudonimo letterario (che celava il suo ebraismo) divenne, per convenienza, il suo nome ufficiale.

Nel 1901, Korczak pubblicò il suo primo romanzo-feuilleton: Dzieci Ulicy (Bambini di strada) e, nel 1904, il romanzo Dziecko Salonu (Il bambino del Salone) che lo rense famoso. Nel frattempo ebbe modo di soggiornare, per motivi di studio, a Berlino, Parigi e Londra. Nel 1909 venne arrestato per le sue idee politiche (a favore dell’indipendenza della Polonia) e passò un certo periodo nella cella col famoso sociologo socialista polacco Ludwik Krzywicki. Uscito, prese contatto con la Società di aiuto agli orfani, divenendone membro della direzione, e occupandosi della costruzione di un Orfanotrofio modello per i bambini ebrei. Questa è la forma di “impegno politico-sociale” che trovò più utile per tentare di salvare tanti bambini e costruire un futuro alla Polonia e anche al suo antico popolo disperso nella diaspora.

Così, il 7 ottobre del 1912, assieme all’educatrice Stefania Wilczyńska, alla quale era legato da un’affettuosa amicizia che però non ebbe un’evoluzione e rimase sempre un rapporto professionale, aprì un Orfanotrofio in via Krochmalna, 92. Era quello il centro del quartiere ebraico (a Varsavia, su 1.300.000 abitanti, 350.000 erano ebrei). Un luogo affollato e povero: si chiamava così dal polacco krochmal (amido). Era la via delle lavanderie ebraiche. In via Krochmalna, al numero 10, viveva lo scrittore, premio Nobel per la letteratura (1978), Isaac Bashevis Singer (1904-1991): «La mia casa paterna in via Krochmalna a Varsavia era una casa di studio, un tribunale, una casa di preghiera, un luogo dove si narravano storie e si celebravano anche matrimoni e banchetti chassidici. (…) Ho ascoltato da mio padre rabbino e da mia madre tutte le risposte che la fede in Dio può suggerire a chi dubita o cerca la verità. Nella nostra casa e in molte altre case ho capito che i problemi eterni erano più attuali delle ultime notizie che si leggevano su un giornale yiddish».

La Casa dell’Orfano (Dom Sierot), fondata da Korczak e inaugurata il 27 febbraio 1913, fu una vera e propria società dei bambini, organizzata secondo i principi della giustizia, della fraternità, dell’uguaglianza nei diritti e i doveri tra educatori e alunni. Lì vennero bandite le punizioni corporali e la privazione del cibo, metodi violenti (e inefficaci) applicati con grande frequenza nelle famiglie e nei collegi di tutto il mondo. Korczak definì questi metodi, nel 1923, “punizioni criminali”. Nel 1914 Korzczak fu richiamato in guerra, come ufficiale medico dell’ esercito russo, e dovette lasciare alla sua assistenze, per un lungo periodo, la direzione dell’ospedale: dal 1915 al 1917 lavorerà in un ospizio ucraino per bambini, vicino a Kiev. Là terminò il suo libro fondamentale: Jak kochać dziecko (Come amare il bambino). Non fece in tempo a smobilitare che, nel 1919, dovette tornare al fronte, questa volta con l’uniforme di ufficiale dell’esercito polacco, nella guerra polacco-russa. Lavorò all’ospedale per le malattie infettive dell’importante città industriale di Łódz.

Nella Polonia tornata, seppur tra mille difficoltà sociali, nazionali ed economiche, un paese sovrano e indipendente, Korczak si dimostrò una miniera di iniziative e pubblicazioni. Nel 1921, avendo ottenuto in dono un terreno con degli edifici a Gocławek, vicino a Varsavia, vi istituì un Centro di vacanze estive per i ragazzi della Casa dell’Orfano (chiamato “Rózycka”, Rosellina). In un campo preso in affitto mise all’opera i suoi bambini nel giardinaggio e nell’agricoltura, teorizzando il fatto che un elemento molto importante della crescita è il saper procurarsi il cibo (e i fiori) con il proprio lavoro. Componente essenziale della sua attività pratica e teorica di pedagogo, fu la pubblicazione di romanzi per l’infanzia: Król Marcius Pierwszy (Il Re Mattia I) e Król Marcius na Wyspie Bezludnej (Il Re Mattia sull’Isola Deserta), entrambi del 1923. Ma un grande successo di pubblico e critica lo ottenne, nel 1924, con un libro destinato espressamente ad adulti e piccini: Kiedy Znów Będę Mały (Quando sarò di nuovo piccolo), che fu, tra l’altro, la lettura preferita del futuro Premio Nobel per la poesia, Czesław Miłosz. Una sorta di Peter Pan (1904), ma senza il rifiuto della crescita e della maturità.

Nel 1926 creò una rivista scritta apposta per i bambini (Mały Przegląd: La piccola rivista), pubblicata come supplemento al giornale ebraico, scritto in polacco, Nasz Przegląd (La nostra rivista). Fu allora che iniziò a collaborare con la radio dove, dal 1934, condurrà la popolare rublica “Piccole chiacchiere di un vecchio dottore”.
Nel 1929 pubblicò il suo celebre manifesto dei diritti dell’infanzia: Prawo dziecka do szacunku (Il diritto del bambino al rispetto): un testo perfetto, ancora insuperato. Iniziò a insegnare Pedagogia all’Università libera di Varsavia e pubblicò un “libro scientifico” assai all’avanguardia: Prawidła życia (Le regole della vita). Nel 1931 mise in scena al Teatro Ateneum uno spettacolo satirico dirompente: Senat Szalenców (Il Senato dei folli), con il grande attore Stefan Jaracz nel ruolo principale (soltanto nel 1978 il testo ottenne, dalla censura comunista, il permesso di essere rappresentato: fu il primo spettacolo teatrale che vidi, quando capitai per la prima volta a Varsavia).

Molto importante fu il viaggio di tre settimane che Korczak fece, nel giugno del 1934, in Palestina, per andare a trovare i suoi vecchi collaboratori e studenti che si erano trasferiti nel kibbuz di Ein Harod (vi ritornerà nel 1936). In Israele, sono sopravvissuti alcuni suoi studenti, da lui salvati, in quanto orfani, dalla strada e dalla delinquenza. Alcuni di loro lo hanno, nel dopoguerra, ricordato con affetto e testimoniato del suo pionieristico lavoro. Korczak fu per loro un pedagogo-amico, laico ma attento a trasmettere i valori della cultura ebraica, totalmente dedito al suo lavoro, fatto con grande rispetto e affettuosa tolleranza.

Allo scoppio della guerra, nel settembre del 1939, quando a Varsavia dominavano la paura e la confusione, Korczak lanciò alla radio appelli alla calma e a organizzare azioni di mutuo soccorso, per mettere al sicuro prima di tutto i bambini. Nonostante che Korczak venisse insistentemente e ripetutamente sollecitato a trasferirsi all’estero (da organizzazioni internazionali, dai suoi collaboratori preoccupati per la sua salute e, persino, da ufficiali medici dell’esercito tedesco che conoscevano il suo lavoro), decise senza esitazioni di rimanere a vivere con i suoi bambini nella “casa comune”.
Nell’ottobre del 1940 i tedeschi ordinarono a tutti gli ebrei di Varsavia di trasferirsi nel Ghetto (che arriverà a contenere fino a 400 mila persone). Malgrado l’opposizione di Korczak, anche i suoi orfani vennero costretti a stare dentro al Ghetto. Furono sistemati nella vecchia Scuola di Commercio (ulica Chłodna, 33) che divenne una sorta di isola-fortezza dove i bambini vivevano rinchiusi ma, per quanto possibile, sereni e non esposti alle azioni violente dei tedeschi e dei collaborazionisti. Korczak si trasformò in un abilissimo procacciatore di cibo al mercato nero e impiegò tutta la sua influenza per ottenere dall’esterno dei fondi che premettessero ai bambini di sopravvivere.

Un anno dopo (dicembre 1941) l’orfanotrofio venne trasferito nel vecchio Club dei commercianti (ulica Śliska, 9) e le condizioni di vita dei bambini peggiorarono. Il Ghetto era diventato l’anticamera per i viaggi senza ritorno nei campi di sterminio: quasi ogni giorno venivano organizzate retate e deportazioni. Ormai malato, Korczak fu costretto a organizzare una sede di fortuna, per i 600 bambini che affollavano il suo ospizio, nella ulica Dzielna al 39. Lì, a partire dal maggio 1942, iniziò a scrivere il suo diario notturno. Salvatosi miracolosamente dalla distruzione, questo diario, fu pubblicato per la prima volta in Polonia nel 1958, a cura dello scrittore Igor Newerly, e costituisce una delle testimonianze più importanti e lucide del Ghetto di Varsavia. Da esso veniamo, tra l’altro a sapere che, su ispirazione di Korczak, uno degli ultimi gesti collettivi dei suoi bambini fu, l’8 giugno, un giuramento solenne di “coltivare l’amore per gli esseri umani, per la giustizia, la verità e il lavoro”. Fino all’ultimo non smisero di fare come avessero un futuro, come se il Male non ci fosse e non li riguardasse. Rimanere umani è la grande lezione che Korczak seppe trasmettere di fronte all’annientamento.

Il 18 luglio, prima della chiusura della Casa dell’orfano, Korczak fece mettere in scena ai suoi piccoli ospiti Il corriere dello scrittore indiano Robindranath Tagore (autore proibito dalla censura nazista). La storia di un bambino malato, rinchiuso nella sua camera, che muore sognando di correrre per i campi: «per abituare i bambini ad accettare la morte come qualcosa di delicato».

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).