Requiem per Antonio Tabucchi

«La vita non è in ordine alfabetico come credete voi.
Appare… un po’ qua e un po’ là, come meglio crede, sono briciole,
il problema è raccoglierle dopo…»

Antonio Tabucchi, Tristano muore

Nella costa settentrionale di Creta, a Haniá (Chaniá), appena fuori dall’antico centro fortificato veneziano, dopo la grande Moschea, c’è un magico alberghetto, dove ho passato giorni bellissimi. Il “Doma” è ricavato dall’ex dimora ottocentesca di un viceconsole britannico. Al primo piano, nella sala da pranzo con enormi finestre spalancate sul mare, occupata da tavole apparecchiate con tovaglie di lino, e coppette di marmellate fatte in case, e yogurt da guarnire con miele, gelatina di rose e noci, c’è su una parete, incorniciata, una copia della traduzione greca, con la copertina disegnata da Valerio Adami, di un racconto di Antonio Tabucchi che dice, a un certo punto:

«Doma, una piccola villa neoclassica, fino ad alcuni anni fa residenza di una famiglia del luogo, è stata trasformata dalle mie amiche Rena e Ioanna Koutsoudaki (due signore, mi piace ripeterlo, la cui raffinatezza, cultura e gentilezza sono tali che in mancanza di aggettivi migliori potremmo definire “neoclassiche” come la loro casa), in un piccolo ed elegante albergo che ha la straordinaria virtù di farvi sentire a casa anche nel caso che voi di neoclassico non abbiate niente. C’è della mobilia di famiglia, nell’albergo, quadri, oggetti, e appese alle pareti vecchie fotografie di una famiglia (o di famiglie cretesi) che non vi appartengono ma che adottate immediatamente, perché è anche vostra senza esserlo: è un po’ il passato della nostra vecchia Europa, così uguale e per nostra fortuna così diversa». (A. Tabucchi, Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli, Milano 2010, p. 208).

Tabucchi adorava quel luogo, dove aveva scritto uno dei suoi racconti-lettera più belli, Il fiume (A. Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 20-37), dedicato all’«ineguagliabile ospitalità» delle due simpatiche padrone. Sono poche pagine, frutto evidente di una sorta di illuminazione che lo porta a sostenere: «Siamo sempre alla ricerca della stessa logica: causa effetto, causa effetto, causa effetto, solo per dare un senso a ciò che è privo di senso. È per questo (…) che hanno scelto il silenzio le persone che nella vita in un modo o nell’altro hanno scelto il silenzio: perché hanno intuito che parlare, e soprattutto scrivere, è sempre un modo di venire a patti con la mancanza di senso della vita».

E oggi che la sua voce si è spenta (un anno fa: il 25 marzo), è difficile non ripensare a come terminava quel racconto: «Tutto finirà in un attimo, in una modestissima bolla, un residuo, un niente, come una scorreggia del tempo. (…) Non ci sono sponde, c’è solo il fiume (…). Ora lo so, che idioti, ci preoccupavamo tanto delle sponde e invece c’era solo il fiume». Di quel fiume senza limiti, Tabucchi, che si definiva «uno che si cerca e si cercherà sempre» (Conversazione con Antonio Tabucchi. Dove va il romanzo?, a c. di P. Guaglianone e M. Cassini, Il libro che non c’è, Roma 1995, p. 34), ha in realtà parlato per tutta la sua opera, raggiungendo il culmine nel romanzo scritto in portoghese Requiem (A. Tabucchi, Requiem, uma alucinação, Quetzal Editores, Lisboa 1991; trad. it. Requiem, Feltrinelli, Milano 1992): un vagabondaggio, un’allucinazione, uno scongiuro, un congedo dai fantasmi di una donna, di un padre, di un amico, di un poeta, di una casa, di una città.

L’ultimo congedo di Tabucchi, il suo funerale a Lisbona, il 29 marzo 2012, è stato raccontato con discrezione e passione, in modo come sempre perfetto, da Andrea Bajani (A. Bajani, Mi riconosci, Feltrinelli, Milano 2013), che ha saputo raccontare la inciampante cerimonia del suo addio, come un surreale e malinconico scherzo: a cominciare da quando il portellone della macchina delle pompe funebri si aprì e non uscì la bara che tutti si sarebbero aspettati, ma una scatolina di legno chiaro, con dentro le ceneri.

Tabucchi è sepolto nel Cimitério Dos Prazeres di Lisbona, nella tomba degli “escritores portugueses”. Il Portogallo fu per Tabucchi il luogo dell’anima, il luogo dell’affetto, la patria adottiva («Amo il Portogallo proprio perché è un paese del sud, un paese di grande luce, di grande sole, di giornate lunghissime»). Grazie all’incontro empatico con la poesia di Fernando Pessoa, Tabucchi uscì dalle sue radici italiane diventando un poco lusitano. A Lisbona, Tabucchi è diventato davvero uno scrittore europeo, di casa a Parigi, come in Portogallo o a Creta, raccontando le sue belle storie che vanno oltre il filo dell’orizzonte italiano.

 

Francesco Cataluccio

Ha studiato filosofia e letteratura a Firenze e Varsavia. Ha curato le opere di Witold Gombrowicz e Bruno Schulz. Dal 1989 ha lavorato nell’editoria e oggi si occupa della Fondazione GARIWO-Foresta dei Giusti. Tra le sue pubblicazioni: Immaturità. La malattia del nostro tempo (Einaudi 2004; nuova ed. ampliata: 2014); Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio 2010); Che fine faranno i libri? (Nottetempo 2010); Chernobyl (Sellerio 2011); L’ambaradan delle quisquiglie (Sellerio 2012); La memoria degli Uffizi (Sellerio 2013); In occasione dell’epidemia (Edizioni Casagrande 2020); Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania (Humboldt Books 2022).