Alexandria Ocasio-Cortez non vuole saperne dell’aiuto di Ted Cruz

Alexandria Ocasio-Cortez non vuole saperne dell'aiuto di Ted Cruz

Giovedì Alexandria Ocasio-Cortez, deputata statunitense del Partito Democratico, ha avuto su Twitter uno scambio molto acceso con Ted Cruz, senatore del Partito Repubblicano, che si era detto d’accordo con lei su una questione legata alla storia delle azioni di Gamestop. Ocasio-Cortez ha accusato Cruz di averla «quasi fatta uccidere» durante l’assalto all’edificio del Congresso da parte di sostenitori di Donald Trump lo scorso 6 gennaio.

Lo scambio riguardava quello che sta avvenendo sui mercati finanziari con la crescita fortissima e inattesa dei titoli di alcuni aziende come GameStop e AMC, favorita dal coordinamento online degli utenti del social network Reddit. Ocasio-Cortez, una delle leader dell’ala più di sinistra dei Democratici, si lamentava del fatto che Robinhood, la principale app usata dagli investitori amatoriali per la compravendita di azioni, avesse bloccato la possibilità di fare operazioni sui titoli di GameStop e di altri, definendo la situazione «inaccettabile» e minacciando un intervento ufficiale. Ted Cruz, che invece fa parte dell’ala destra dei Repubblicani, ed è stato tra i più strenui sostenitori di Trump, ha ripreso il tweet della deputata, dicendo di essere «pienamente d’accordo».

Ocasio-Cortez a quel punto ha risposto a Cruz, accusandolo di essere stato uno dei principali istigatori dell’assalto all’edificio del Congresso. Il senatore non ha direttamente incitato gli assalitori, cosa di cui invece è accusato Donald Trump, ma è stato uno dei più attivi nel tentativo di ribaltare il risultato delle presidenziali. Secondo i procuratori americani che stanno indagando sull’attacco, alcuni assalitori avevano intenzione di «sequestrare e assassinare deputati e senatori».

«Sono contenta di lavorare con quasi tutti gli altri membri del Partito Repubblicano che non hanno cercato di farmi uccidere. Nel frattempo se vuoi collaborare ti puoi dimettere», ha scritto Ocasio-Cortez.

In Cina va molto forte una canzone che parla di violenze domestiche

In Cina va molto forte una canzone che parla di violenze domestiche

La canzone più recente di Tan Weiwei, popstar molto famosa in Cina, si intitola “Xiao Juan” e parla di misoginia e violenze domestiche, argomenti che hanno fatto iniziare molti dibattiti e discussioni sui social media cinesi. “Xiao Juan” è l’equivalente del nome inglese “Jane Doe”, che di solito si usa per indicare una donna che è morta e di cui non si conosce l’identità o che ha subito abusi e vuole rimanere anonima (per gli uomini “John Doe”). Nel testo della canzone, Tan fa riferimento sia all’atteggiamento misogino diffuso in Cina, sia ad alcuni episodi di violenze domestiche e uccisioni di cui in Cina si è parlato molto negli ultimi anni. La cantante, nota anche come Sitar Tan, è una dei pochi artisti cinesi ad aver affrontato questioni che in Cina sono ancora un tabù e la prima che stia ottenendo così tanta attenzione.

Un video con i sottotitoli in inglese di “Xiao Juan”

Sulla piattaforma video cinese Bilibili, molto visitata dalle adolescenti, il video di “Xiao Juan” è stato visto più di 1 milione di volte. Quando Tan parla di “pugni, benzina e acido solforico” si riferisce all’uccisione di Lamu, una donna a cui l’ex marito aveva dato fuoco lo scorso settembre; quando dice “dal letto nuziale al letto del fiume”, si riferisce al ritrovamento del corpo smembrato di una donna in una fossa biologica lo scorso luglio. Nella canzone inoltre ci sono diverse parole dispregiative, come “puttana”, “prostituta” o “mangiauomini”: tutte contengono il carattere cinese “nü”, che indica la donna ed è una caratteristica che secondo l’attivista Feng Yuan «riflette la misoginia ben radicata nella cultura» cinese.

“Xiao Juan” cantata da Tan Weiwei in un’esibizione dal vivo

Anche se nel 2005 la Cina ha emanato una legge contro le violenze domestiche, secondo molti attivisti non è particolarmente rispettata, soprattutto nelle piccole città e nelle aree rurali. Secondo l’ong che si occupa dei diritti civili delle donne Equality, di cui Feng è co-fondatrice, da quando la legge è entrata in vigore, nel 2016, sui media del paese sono stati segnalati almeno 900 casi di donne uccise dal loro partner, ma si pensa che i numeri siano molto più alti.

Chi c’è dietro la foto del mese

Chi c’è dietro la foto del mese

La foto del senatore statunitense Bernie Sanders, visibilmente infreddolito, poco elegante e con le muffole alle mani, durante la cerimonia di insediamento alla presidenza di Joe Biden, è diventata sui social network un diffusissimo meme nei giorni scorsi.

L’autore della foto è il fotografo dell’agenzia France-Presse Brendan Smialowski, che lavora a Washington dal 2003 e da allora ha seguito i presidenti in carica nei loro viaggi e coperto diverse cerimonie di insediamento. Quella del 20 gennaio era però una cerimonia di insediamento particolare, sia per le misure di distanziamento dovute all’epidemia da coronavirus, sia per le misure di sicurezza adottate dopo l’attacco al Congresso degli Stati Uniti dello scorso 6 gennaio. Il numero delle persone che hanno assistito alla cerimonia è stato infatti molto limitato e le persone erano distanziate.

Smialowski, in un’intervista al New York Times, ha raccontato di essersi accorto di Bernie Sanders, e della sua posa particolare, con la coda dell’occhio mentre stava fotografando il senatore del Texas Ted Cruz e il senatore del Missouri Josh Hawley. Smialowski ricorda che il modo in cui Sanders era seduto e la sua espressione l’avevano spinto a distogliere l’attenzione da Cruz e Hawley e scattare quella foto.

Ha detto di essere rimasto stupito della nitidezza dell’immagine, visto che la fotografia era stata scattata con un obiettivo non particolarmente adatto alla distanza. Secondo lui il successo della foto non è dovuto solo al fatto che ritragga «un buon momento», cioè una posa particolare, ma anche al fatto che Bernie Sanders sia un «politico ben definito». Smialowski, che ha vinto riconoscimenti come il Pictures of the Year International e il World Press Photo, considera però la foto diventata virale non «il lavoro più bello che abbia mai fatto».

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