La sconfitta del PdL a Milano viene da lontano

Giuliano Pisapia ha vinto a Milano, ma soprattutto, a Milano, ha perso Letizia Moratti: ed entrambi, per ottenere il rispettivo risultato, si sono impegnati moltissimo. Questa è la prima cosa da dire: che il corollario e i consulenti, come ha scritto Francesco Costa, contano senz’altro – soprattutto se sono sbagliati – ma tutte le elezioni essenzialmente le vincono o perdono i candidati, c’è poco da fare.

Cominciamo a dire qualcosa su Pisapia, che è una persona mite, moderata e lontana dall’immagine estremistica e sgangherata che si è cercato di appiccicargli. Il che non toglie che il posto di Pisapia è il ministero della Giustizia (il governo Prodi glielo sottrasse cinque anni fa, regalandolo a Clemente Mastella) e non è certo Palazzo Marino, soprattutto se a sorreggerlo, in giunta, ci saranno forze politiche in grado di far rimpiangere tranquillamente una come Letizia Moratti. Resta che Pisapia non ha sbagliato niente: non ha detto clamorose sciocchezze e non ha ammiccato né al centro né all’estrema sinistra: ha liquidato i partiti e i partitini con un programma che accontentava tutti (tanto i programmi non li legge nessuno) e non ha sostanzialmente raccolto la provocazione-vigliaccata che gli ha fatto Letizia Moratti nel dibattito organizzato da Sky. Non è mai sceso, cioè, sul terreno scivoloso (fangoso, a tratti) che evocava spauracchi che talvolta hanno fatto sorridere anche chi il problema dei rom o dei clandestini lo patisce davvero.

E veniamo a Letizia Moratti. È pur vero che non ha mai cercato un rapporto organico col partito che l’ha candidata – facendosene un vanto – e che le varie Polverini e Melchiorre meneghine, ora, già lucidano la gabbana, anche perché il centrodestra milanese ridonda di modesti spingitori di bottoni che senza potere sono come pescecani senz’acqua. La Lega, da principio, neppure la voleva: anche se poi, obtorto collo, ha ricucito come pure è successo con il mondo di Comunione e Liberazione. A dirla tutta, la Moratti è sempre stata abituata a comandare ma non è mai stata capace di convincere, capace cioè di far politica. Ha sempre avuto problemi di comunicazione incredibili: anche in questa campagna elettorale i «faremo» superavano di gran lunga gli «abbiamo fatto» ed è passato, alla fine, che lei è quella delle piste ciclabili: sai che roba. Mentre su altre cose che l’hanno vista impegnata, tipo traffico e parcheggi e metropolitane, ha lanciato messaggi contraddittori o forse ha semplicemente fatto poco. Se Gabriele Albertini prese il 60 dopo il primo mandato, mentre la Moratti ha preso il 44, qualcosa vorrà dire.

C’è poi la questione del centrodestra che ha «sbagliato campagna», come dice la Lega e ora un po’ tutti gli altri: si potrebbero scrivere poemi, e tanti ne leggeremo. Di certo lo sfidante era Pisapia ma la Moratti si è messa a sfidarlo come se toccasse a lei inseguire: così una buona parte della campagna di Pisapia, di rimando, l’ha fatta lei. È pur vero che alla Moratti un pezzo di campagna, invece, l’ha fatta Berlusconi: l’ennesima sottovalutazione dell’elettorato medio – che doveva correre a votare, secondo il Cavaliere, perché c’era l’emergenza democratica del caso Ruby – ha fatto il paio con l’idea disgraziata di nazionalizzare il voto: e non si capisce, ancor oggi, se Berlusconi l’abbia fatto perché pensava di vincere o perché temeva di perdere. Forse, dopo 17 anni, perlomeno a Milano, Berlusconi non può più inventarsi più nulla che non sembri appunto un’invenzione.

Detto questo, tutta la retorica del genere «il vento sta cambiando» (eccetera) ha una sua importanza, ma pur sempre relativa. La politica, come la natura, non fa salti: ciò che è accaduto a Milano è stato preparato negli anni. Come già avvertiva qualche settimana fa il sito il centrodestra milanese ha perso voti con progressione scientifica; nel 1995 il voto di Milano, per il centrodestra, rappresentava il 15 per cento del voto lombardo: ora rappresenta meno del 10 per cento. La botta è arrivata adesso, perché i conti si pagano alla fine: ma lo scarso appeal di Letizia Moratti e la buona campagna di Pisapia hanno soltanto portato all’epilogo un processo carsico in atto da anni. E, come per ogni processo carsico, non è vero che si percepisse e che il vento stesse cambiando: non si percepiva un accidente, anche perché il centrodestra, a fronte di qualsiasi genere di critica, rispondeva sempre che il consenso dei cittadini era genericamente dalla sua. Ora manca pure quello.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera