Ci serve un comandante o una discussione?

È incredibile come in nemmeno una settimana si siano verificati tre piccoli eventi che danno il segno della fragilità da osteoporosi del sistema democratico italiano. Il primo è il colpo di coda con cui i garanti della Lista Tsipras hanno deciso di mandare Spinelli a Bruxelles, senza minimamente prendere in considerazione un dibattito tra comitati e militanti: discussioni notturne tra cinque, sei persone; interviste sprezzanti; lettere laconiche, qualunque cosa che potesse dimostrare una volontà oligarchica invece di una vocazione inclusiva. Il secondo è la votazione burla con cui il Movimento Cinque Stelle sta facendo scegliere on line quale sarà la collocazione degli eletti alle europee. Le opzioni sono tre – conservatori, fascisti e nessun gruppo (nessun gruppo che vuol dire insieme a Alba Dorata, per dire) – ma nel form in cui si può cliccare campeggia un PS orwelliano e comico: “Nel caso la soluzione più votata non sia praticabile, sarà perseguita la successiva più votata”. Il terzo è oggi l’epurazione – ok, il dimissionamento – di Corradino Mineo e Vannino Chiti dalla Commissione Affari Costituzionali e le successive dichiarazioni di Renzi e co. (Boschi, Lotti, i soliti corifei) per giustificare quest’atto anche di fronte alla “autosospensione” dal gruppo parlamentare PD di quattordici senatori: l’ormai consumato tono liquidatorio da non ti cago, non ci faremo intimidire, Mineo chi?

Ecco. È esemplare come uno dei problemi quantomeno ventennali, secondorepubblicani, della politica italiana, soprattutto a sinistra, ossia la mancanza patologica di una classe dirigente (l’urlo di Moretti a Piazza del Popolo ancora risuona nelle orecchie di chi non ha ancora cominciato a elaborare il lutto di quella sconfitta generazionale), oggi abbia generato una resa incondizionata alle terapie emergenziali: una fame chimica di leaderismo, di decisionismo, di personalizzazione, un desiderio di liberarsi di qualunque forma di mediazione politica. La mediazione responsabilizza, e lo fa con fatica, e perché faticare?

Di fronte a quest’inconscio richiamo a un condottiero – che non definisco duce perché non voglio semplificare questa tendenza riducendola a un istinto cesarista o fascista -, mi ritornava in mente un articolo di un annetto fa di Slavoj Žižek uscito sul New Statesman, che quando lo lessi mi spiazzò non poco. Lo potete leggere tradotto per intero qui; ma sostanzialmente era un invito a smitizzare le retoriche dell’auto-organizzazione e della partecipazione. Facendosi scudo con le tesi di Alain Badiou, Žižek arrivava a scrivere: “Dovremmo seguire senza paura il suo suggerimento: per risvegliare effettivamente gli individui dal loro dogmatico “sonno democratico”, dalla loro cieca fiducia nelle forme istituzionalizzate della democrazia rappresentativa, gli appelli all’auto-organizzazione non sono abbastanza: è necessaria una nuova figura di Comandante”.
È necessaria davvero questa nuova figura di comandante? Il fallimento delle primavere arabe, dei movimenti degli indignados da una parte, come l’emergere in Europa di leader sinistramente, ossia destramente populisti dall’altra, davvero ci dovrebbero far concludere che non è tempo di dialettiche interne, di congressi, di ciance?

Probabilmente è così. Spesso anche chiacchierando con i miei amici, è invalsa questa convinzione: la politica non può essere fatta da gente che riflette troppo, con troppa autocritica. Ed è vero, Renzi si muove come un elefante in una cristalleria, o meglio come un personaggio di un videogioco sparatutto, ma almeno rompe, almeno ammazza. Per esempio dalla Cina così mitragliava: “Non molliamo di un centimetro. Non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme. E siccome conta di più il voto degli italiani, vi garantisco che andremo avanti a testa alta”. Che altro ci si aspettava? Ormai le potrei fare io in anticipo le dichiarazioni di Renzi.

Ma certo mi stupisce che anche i più strenui difensori del valore dibattimentale a un certo punto crollino. Da ultimo leggevo l’articolo di poche ore fa di Roberto Giacchetti, che ieri da garantista ero molto contento che avesse guidato una fronda interna al PD per fare votare a favore della responsabilità dei giudici (seppure in un decreto omnibus molto arrangiato ma sic). Ecco che invece oggi molla l’idea che ci possa essere una discussione nel merito sulla riforma del Senato. “E innumerevoli volte Renzi ha affermato che il voto sulla sua persona sarebbe stato anche una formale approvazione del suo programma nel quale appunto c’era questa specifica proposta di riforma costituzionale.” O con Renzi o contro di Renzi, qualunque cosa questo significhi.

Ora, uno con un minimo di coscienza democratica, uno con il desiderio di confrontarsi come dire, uno ancora non fulminato sulla via di Rignano sull’Arno, può farmi capire qual è il valore politico in sé di una battaglia contro le minoranze? Qual è il valore politico di una mancata discussione sulla riforma del Senato che coinvolga anche voci dissenzienti come Mineo, Chiti o sì anche Mauro di Per l’Italia? Può spiegarmi perché non dovrei essere d’accordo quando Walter Tocci sul suo blog oggi scrive: “Nella pur travagliata storia repubblicana non era mai accaduto prima che il governo imponesse al Parlamento un testo di revisione costituzionale. Il potere esecutivo dovrebbe semplicemente rimanere in silenzio quando il potere legislativo scrive la Carta. Questo insegna la civiltà giuridica e lo conferma anche il buon senso”? O ancora, perché l’Italicum è migliore della bozza Chiti, se analizziamo proprio la struttura del testo? O ancora ancora, siamo sicuri che dal punto di vista delle strategie parlamentari sia una scelta ragionata preferire l’Italicum alla bozza Chiti, dato che Berlusconi è un alleato sempre meno affidabile, e invece Movimento Cinque Stelle e Lega avevano più di una convergenza su questo secondo testo? O infine, perché le obiezioni che pone ogni volta Pippo Civati puntuali, ragionate, dello stesso tono di quelle che modestamente qui provavo a elencare io, devono essere preventivamente stralciate come il fastidio di un tafano?
Essere sul carro del vincitore, credo, generi uno strano effetto galvanizzante. Si va avanti spediti, come alla guida di una macchina di un videogioco automobilistico, o Grand Theft Auto. Intorno i pedoni, gli altri autisti, la gente che incrociamo, che attraversa le strisce, persino quelli che ci stanno a guardare sugli spalti… possiamo spazzare via tutto, senza nemmeno usare troppo il volante, investirli semplicemente spingendo ancora il piede sul pedale. Vogliamo dire che stiamo guidando il Paese avanti, rapidi, sicuri, perché ce ne freghiamo di qualunque cosa che ci passi vicino?

Christian Raimo

Christian Raimo è nato (nel 1975) e cresciuto e vive a Roma. Ha studiato filosofia e ha pubblicato per Minimum Fax due raccolte di racconti: Latte (2001) e Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro? (2004). È un redattore di «minima&moralia». Nel 2012 ha pubblicato per Einaudi Il peso della grazia.