L’agricoltura di precisione

Roberto Confalonieri insegna all’Università degli Studi di Milano. Quando l’ho conosciuto pensavo fosse un ex cantante rock. Difatti, suona e canta ancora, anche se non gira più per locali. Come nello spirito del rock non ama la retorica. Sta lavorando su cose molto belle ed efficaci, riguardano l’agricoltura di precisione (sulla quale fa un sacco di interessanti distinguo).

Ciao, presentati
Mi chiamo Roberto Confalonieri, ho 45 anni e sono professore associato all’Università degli Studi di Milano. Insegno principalmente Agronomia e Sistemi Colturali, cercando di mostrare agli studenti nuove tecnologie per la gestione delle piante coltivate.

Spiega…
Ad esempio illustrando lo sviluppo e l’uso di modelli matematici che simulano il comportamento delle piante in funzione delle condizioni ambientali e dell’interazione con altri organismi, tra cui l’uomo che le coltiva.

Ok.
Questi simulatori sono incredibilmente versatili, possono essere utilizzati per adattare i sistemi colturali ai cambiamenti climatici, per supportare la gestione agronomica, per ridurre tempi e costi di programmi di miglioramento genetico… Insomma: sono degli strumenti straordinari. E grazie a loro ho lavorato per quattro anni per la Commissione Europea, occupandomi di previsioni di resa. Un’esperienza bella e molto formativa.

E ora?
Negli ultimi anni abbiamo iniziato ad integrare i simulatori con dati satellitari e con alcune app che abbiamo sviluppato, che consentono di trasformare un normale smartphone in uno strumento di misura, portatile, leggero, economico e connesso. Dal momento che adoro vedere arrivare in azienda i risultati delle mie ricerche, lo scorso anno ho fondato insieme ai miei collaboratori uno spin-off supportato dall’Università, Cassandra Tech. Questo perché mi sono reso conto che è molto più facile fare arrivare “sul campo” idee e tecnologie nuove se chi le trasferisce è lo stesso che le ha partorite. Quindi, dopo 20 anni a fare il ricercatore, ora sto facendo anche l’imprenditore, o almeno sto cercando di imparare a farlo.

Ok, andiamo per gradi dai, mi spieghi in linea di massima che cos’è l’agricoltura di precisione?
Mah… Viene definita come un tipo di agricoltura nel quale le operazioni colturali sono svolte “facendo la cosa giusta nel posto giusto e nel momento giusto”.

Non ti torna la definizione?
Mi chiedo se prima di questa “rivoluzione” gli agricoltori cercassero di fare la cosa sbagliata nel posto sbagliato nel momento sbagliato… No, non mi sembra un concetto nuovo.

Dunque?
Più che altro, innovazioni tecnologiche e scientifiche hanno permesso di rendere esplicita e quantitativa la naturale tendenza degli agricoltori a cercare di fare le cose per bene, gestendo dinamiche temporali e variabilità spaziale. Perché fare le cose per bene è, in primis, loro interesse.

Quindi è un po’ come i discorsi motivazionali?
Sì, forse ogni tanto abbiamo bisogno di dare nomi nuovi alle cose, forse per generare entusiasmo o ottimismo. Infatti ho l’impressione che agricoltura di precisione stia già diventando un filo démodé, ora è molto più cool parlare di agricoltura 4.0, agricoltura digitale, smart farming… che a volte vengono proposte come evoluzioni dell’agricoltura di precisione, a volte come nuovi paradigmi produttivi. Credo siano slogan efficaci per articoli divulgativi o per un servizio accattivante al telegiornale.

Quindi, in realtà, di che parliamo?
In realtà, credo, si tratta semplicemente di evoluzione delle tecnologie in agricoltura, evoluzione che – sebbene a velocità diversa – è continua, dacché l’agricoltura è nata. Certo, ogni tanto ci sono dei gradini, o gradoni, quando un’innovazione è di tale portata da far fare un balzo a velocità curvatura alle conoscenze disponibili e alla possibilità di trasferirle nel mondo della produzione. Penso alla rivoluzione verde.

E allora, questa nuova rivoluzione?
Per quanto riguarda l’agricoltura di precisione, vedo davvero un’evoluzione continua di conoscenze e tecnologie, che ad un certo punto sono state formalizzate e “battezzate”. È un’evoluzione rapida, certo, perché le tecnologie potenzialmente coinvolte stanno facendo passi da gigante. Ma, ripeto, concettualmente credo che non sia una rivoluzione.

Va bene, niente rivoluzione.
Mio nonno era un piccolissimo agricoltore e, dai racconti che mi faceva mio padre, anche lui cercava di fare la cosa giusta nel posto giusto al momento giusto. Ora ci sono potenzialmente strumenti molto avanzati per fare “agricoltura di precisione”, mentre lui faceva diagnosi basandosi esclusivamente sulla propria esperienza e sui propri sensi, cosa che – comunque – continua a fare ancora oggi la stragrande maggioranza degli agricoltori. Ad ogni modo, scusa la risposta filosofica, immagino non fosse questo che volevi sapere. Torno a bomba.
Di fatto, con agricoltura di precisione intendiamo, ad esempio, sistemi di allerta che permettono di effettuare trattamenti fitosanitari nel momento che massimizza l’efficacia del trattamento stesso. O sistemi che permettono di distribuire concimi azotati in quantità variabile all’interno di un appezzamento, sulla base di differenze nello stato nutrizionale tra i diversi punti del campo. Insomma, cercare di ottimizzare i fattori di produzione in modo da produrre di più con meno.

Questo è uno slogan nuovo, ha qualche ragione?
Altro slogan poco stimolante: non conosco agricoltori che vogliano produrre di meno o che – dovendo pagare i fattori di produzione – ne usino deliberatamente più del dovuto. Le tecnologie attualmente disponibili per agricoltura di precisione sono, ad esempio, simulatori, telerilevamento satellitare, intelligenza artificiale (altro termine che non adoro), sensoristica di vario genere più o meno connessa. Il limite di tutto questo ben di dio tecnologico è che permette di ottenere rapidamente un’enorme quantità di dati… ma trasformare i dati in informazioni non è sempre semplice. E – come dice il mio amico Mirco Boschetti del CNR – agli agricoltori servono informazioni, non dati. Questo è il motivo per cui queste tecnologie faticano ad entrare in azienda.

Ok, spiega questo punto.
Forse dovremmo concentrarci un po’ meno sugli slogan e un po’ più sulle offerte tecnologiche, mostrando con chiarezza vantaggi e costi. Insomma, forse dovremmo essere un po’ più concreti. E sviluppare tecnologie dialogando molto di più con gli utenti finali, gli agricoltori. Dobbiamo rimetterli al centro: sono guide preziosissime per chi fa ricerca e sviluppa tecnologie in agricoltura.

Mi fai allora un esempio concreto? Un case study.
Una sera di circa tre anni fa stavo facendo zapping e sono incappato nel controverso servizio di Report sul Prosecco, con questi atomizzatori che spruzzavano fitofarmaci…

Ricordo quel servizio, sì.
E mi è tornata in mente una chiacchierata fatta con un mio collega svizzero, che mi raccontava che da loro stanno adottando regole che stabiliscono le modalità di distribuzione dei prodotti in base al quantitativo di foglia sui filari per abbattere la dispersione di prodotto nell’ambiente. Il problema è che non hanno fornito ai viticoltori sistemi efficaci per stimare, appunto, la superficie fogliare.

Ok, e allora?
Dal momento che io mi occupo di colture erbacee, mi sono documentato un po’ e ne ho parlato con alcuni colleghi esperti di viticoltura, facendomi un’idea dei pro e dei contro dei sistemi disponibili per ridurre la deriva, ovvero la dispersione in aria del quantitativo di fitofarmaco che, dopo essere stato ridotto in minuscole goccioline e sparato contro i filari, viene disperso per mancata intercettazione da parte della vegetazione. Al momento sono disponibili diversi sistemi per far fronte al problema, i più efficaci dei quali richiedono di aggiornare il parco macchine aziendale e in molti casi non sono adatti a tutte le tipologie di impianto né a zone di alta collina o montagna. Abbiamo pensato di sviluppare una soluzione alternativa, adatta a tutte le tasche e a tutti i contesti, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda.

Qual è?
Abbiamo sviluppato un sistema che funziona così: il nostro servizio meteo, che include dati previsti, nutre un simulatore che stima il rischio di infezione da parte di patogeni fungini nei giorni a venire. Quando il rischio è medio o alto, il sistema comunica con lo smartphone dell’agricoltore tramite un Bot Telegram (funziona come WhatsApp, quindi lo sanno usare proprio tutti).

Eh sì.
A questo punto l’agricoltore prende lo stesso smartphone e va ad effettuare alcune stime di indice di area fogliare, ovvero la superficie di foglia che insiste su una superficie unitaria di terreno. L’acronimo di questa grandezza è LAI.

Come la ricava?
Grazie ad un sistema che abbiamo brevettato alcuni anni or sono, che utilizza l’accelerometro, il magnetometro e la camera presenti in ogni telefono, un modello di trasferimento radiativo e un algoritmo di segmentazione che abbiamo sviluppato. A questo punto il viticoltore indica che prodotto intende utilizzare per il trattamento e, sulla base delle caratteristiche del prodotto e del valore di LAI, il sistema visualizza sullo smartphone la dose di principio attivo e il fattore di diluizione che massimizzano l’efficacia del trattamento minimizzando la dispersione del prodotto.

Fantastico. Funziona?
Abbiamo fatto sperimentazioni in diversi contesti aziendali e il risparmio medio di prodotto è poco inferiore al 50%. Il tutto con l’agricoltore che deve solo fare qualche click sul suo smartphone. Lo lanceremo il prossimo anno e sono fiducioso che riceverà una buona accoglienza: garantisce un risparmio medio di circa 350 € all’ettaro ogni anno, non richiede di comprare nessun macchinario e il servizio costerà ogni anno, all’ettaro, come una settimana di colazioni al bar.

Ok, altri casi?
Un altro servizio che abbiamo sviluppato integra immagini satellitari, i soliti simulatori e pochissime misure prese con lo smartphone (il LAI di prima e il contenuto in azoto nei tessuti delle piante) per produrre mappe di stato nutrizionale, che consentono di distribuire azoto in copertura a rateo variabile, considerando che le piante nei diversi punti del campo possono essere in stress da carenza o in consumo di lusso. Un inferno di dati che frullano e si combinano avanti e indietro, dalle mani dell’agricoltore ai satelliti in orbita, a sistemi di processamento nel cloud: una cosa davvero complicata… ma l’agricoltore vede anche qui solo il suo smartphone e bastano i soliti pochi click. Ma te ne parlo un’altra volta che sennò annoio te e chi ci leggerà.

Ma no, siamo sul Post le info tecniche sono benvenute…
Abbiamo reso questi sistemi tanto semplici da avere poco appeal nei confronti di chi non si occupa di agricoltura… e a volte anche di chi opera nel settore. Di fatto abbiamo usato molte tecnologie diverse che erano già state sviluppate da noi o da altri, spesso per scopi diversi, e le abbiamo assemblate per risolvere dei problemi specifici. Ovviamente in spiaggia è molto più eccitante leggere un articolo di giornale dove agli stessi problemi si risponde con soluzioni basate su robot, droni, intelligenza artificiale, big data, spade laser, incrociatori spaziali… Io questa roba nelle aziende agricole al momento non la vedo molto… ma usando questi termini l’effetto “wow” è assicurato. Con le nostre soluzioni no: l’articolo inizierebbe così “C’è un agricoltore con in mano un telefono…” io chiuderei il giornale e andrei a fare il bagno.

Eh sì, il solito ingombrante problema di story-telling…
Credo che per far davvero entrare in azienda tecniche innovative per l’agricoltura di precisione (uso di nuovo l’espressione così ci capiamo) bisogna partire da un problema reale e trovare una soluzione semplice da usare, che possibilmente non richieda grandi investimenti in nuove macchine e – soprattutto – che costi pochissimo rispetto ai vantaggi economici che garantisce. Questo intendevo prima con concretezza. A quel punto non sarà necessario convincere gli agricoltori ad adottarla perché ci sono benefici per l’ambiente… L’adotteranno perché è nel loro interesse di imprenditori farlo. E i benefici per l’ambiente saranno un piacevole effetto collaterale.

Bene, senti, ma due domande: non è che l’agricoltore, abituato com’è da millenni a fidarsi del proprio intuito, rifiuta l’Intelligenza Artificiale? Seconda domanda: e i dati? Alcuni di questi sono sensibili? Cioè se mi danno un vantaggio competitivo sul mio vicino, considerato anche una certa riottosità a tollerare il vicino, ecco questi dati magari non li metto in comune.
Guarda, credo che agli agricoltori interessi solo vedere chiaramente e quantitativamente – intendo euro all’ettaro all’anno – i vantaggi che una tecnologia offre. Sono imprenditori, è semplicemente normale. Non credo che stiano a giudicare il motore tecnologico dietro ad una cosa che trovano utile per la loro attività.

Ok…
Per scegliere un’auto non ti basi sul layout del propulsore. Ti chiedi semplicemente se la potenza e i consumi di quel propulsore sono per te soddisfacenti. Poi può essere a tre, quattro, cinque, sei, otto cilindri, aspirato, turbo, a benzina, gasolio, gas, ibrido, elettrico, con distribuzione a cinghia dentata, a catena, a cascata di ingranaggi o ad aste e bilancieri. Che importa? Va abbastanza forte? Consuma il giusto? Punto. Scusa, fammelo dire.

E dimmi…
A volte gli agricoltori sembrano avere un atteggiamento conservativo nei confronti delle nuove tecnologie perché chi gliele illustra spesso non è in grado di quantificare con chiarezza i costi e i vantaggi di ciò che propone, a volte anche la domanda a cui la tecnologia si propone di dare una risposta è sfumata.

Eh sì, un vecchio problema…
Scusa, parlo sempre di soldi, ma non è così: l’agricoltura sembra stia diventando qualcosa che deve in primo luogo tutelare l’ambiente e in secondo dipingere malinconici paesaggi di nostalgie bucoliche che sono miele per chi le immagina – senza averle vissute – e fame per chi ne è stato protagonista.

Cosa deve fare l’agricoltura?
L’agricoltura deve in primis produrre cibo, e produrne tanto. Cibo significa essere sani. Il cibo è la prima medicina. E gli agricoltori devono ricavare del denaro da ciò che fanno, anche quelli con aziende di dimensioni ridotte. Altrimenti falliscono. E una delle peggiori sciagure ambientali che riesco ad immaginare non è 20 kg all’ettaro di concime di sintesi in eccesso o un trattamento fitosanitario in più del necessario… ma è l’abbandono delle terre, perché gli agricoltori sono i custodi del territorio. Certo, potresti dirmi che se i piccoli agricoltori falliscono le loro terre potrebbero in parte essere acquistate da aziende più grandi.

Sì, stavo suggerendo una soluzione cinica.
Ma non mi piace neanche l’idea di un mondo fatto di mega aziende che riescono a prosperare solo grazie ad economie di scale mostruose. Dico questo per motivi sociali – per unità di superficie ci sarebbero meno persone impiegate, e quindi meno posti di lavoro – e ambientali – un’azienda medio-piccola a conduzione poco più che familiare vede la terra come la cosa da custodire con più cura. E queste aziende non devono fallire. Ecco il motivo per cui continuo a parlarti di costi e vantaggi delle tecnologie che proponiamo: entrambi devono essere chiaramente esposti agli agricoltori in euro all’ettaro all’anno. Punto. Il resto sono chiacchiere o mode tecnologiche o slogan. Ho sentito parlare di Agricoltura 2.0, ora c’è quella 4.0 (la 3.0 mi è scappata, si vede che andava velocissima), aspetto la 5.0, poi la 6.0…

Va bene, e la questione dati?
Hai toccato un punto importante. Di nuovo: gli agricoltori sono degli imprenditori, spesso sono in buoni rapporti con i colleghi delle aziende vicine, si danno una mano a vicenda quando c’è bisogno, perché è un mestiere meraviglioso ma duro. E le difficoltà spingono ad essere solidali. Ma sono competitor, ovviamente. E quindi ognuno ha le sue idee, le sue convinzioni. La sua ricetta per produrre di più e meglio. Le informazioni che dovrebbero condividere sono, secondo me, assimilabili a segreti industriali. Ti rendi conto?

Insomma, se avessi un segreto che mi permettesse di scrivere un buon romanzo non so se lo divulgherei…
Ma chiunque lavora ritiene di avere dei trucchetti che lo rendono per certi aspetti migliore degli altri. Questi trucchetti li spieghi ai tuoi allievi, non ai diretti competitor. E l’Intelligenza Artificiale – non sempre ma spessissimo – richiede accesso ad una moltitudine di dati, che attraverso prove sperimentali richiederebbero ere geologiche per essere raccolti.

E quindi?
E quindi, sì: sarebbe più facile e più rapido se gli agricoltori condividessero informazioni. Ma io, per i motivi che ti ho detto, non me la sentirei mai di chiedergliele. Un’idea potrebbe essere convincerli a condividere la loro esperienza e dati aziendali – anche i segreti e i trucchetti di cui parlavamo prima – offrendo in cambio, gratuitamente, servizi che loro percepiscono come utili. Do ut des. Questo porterebbe nel giro di poco a sviluppare servizi più evoluti per supportare le attività degli agricoltori. Chissà? E’ un’idea. Che ora che te la sto dicendo mi ruberanno… vedi che non ho ancora imparato a fare l’imprenditore? Non so tenermi un cecio in bocca.

…Chitarrista preferito?
Due: Mark Knopfler e David Gilmour, mi toccano l’anima. Ma il primo non lo suono, lo ascolto e basta. Le volte che ho provato a suonare un suo assolo mi sembrava di bestemmiare o di commettere un sacrilegio… non so. Un disagio boia. Magari prova e riprova veniva più o meno corretto ma mai colorato come quando suona lui. Con la chitarra mescola i colori, li sfuma, a volte vivaci, a volte meravigliosamente cupi… Se ti concentri e chiudi gli occhi mentre lo ascolti vedi colorarsi anche l’aria. E chi sono io per togliere colore alle cose?

Antonio Pascale

Antonio Pascale fa il giornalista e lo scrittore, vive a Roma. Scrive per il teatro e la radio. Collabora con il Mattino, lo Straniero e Limes. I suoi libri su IBS.