Le uova di Galileo

Molti secoli prima che diventasse figo maltrattare pubblicamente un aspirante chef, Galileo Galilei strapazzò il gesuita Orazio Grassi in una disputa sul modo migliore per cuocere le uova. Non che la cucina fosse in cima alla lista delle preoccupazioni del pisano, ma Galileo non si tirava indietro di fronte a niente quando c’era da umiliare l’avversario. (Regola numero uno per un accademico del Diciassettesimo secolo: mai attaccar briga con Galileo.)

A discutere di uova sode, Galileo e Grassi c’erano arrivati per vie traverse, partendo da un litigio sulla natura delle comete (nel 1618 ne erano apparse ben tre). Litigio innescato involontariamente dal Grassi il quale, poveretto, si era permesso di scrivere un trattatello in cui sosteneva che le comete fossero corpi celesti transitanti oltre l’orbita lunare. Per inciso, aveva ragione.

Purtroppo per Grassi, però, Galileo non era convinto. Era restio a trarre conclusioni definitive in mancanza di prove e dati affidabili, e ipotizzava altre spiegazioni possibili: per esempio che le comete fossero solo un fenomeno atmosferico, forse causato da vapori che salivano in quota oppure da un gioco di luce dei raggi solari. Decise allora di saggiare la consistenza dell’avversario mandando avanti uno scagnozzo, tale Guiducci, cui dettò un Discorso sulle comete, così, in italiano, tanto per mettere in chiaro le cose il più universalmente possibile. Il Grassi, incautamente, scelse di ribadire la sua posizione ma, non disponendo di scagnozzi a sua volta, pensò di celarsi dietro un maldestro pseudonimo. Firmandosi Lotario Sarsi, pubblicò la Libra Astronomica ac Philosophica, un pesante attacco personale in cui, protetto da un illusorio anonimato, rinfacciava a Galileo un po’ di tutto, incluse le cattive frequentazioni copernicane. A quel punto Galileo ci mise la faccia e, fingendo di non sapere chi fosse realmente il Sarsi, scrisse di proprio pugno Il Saggiatore. Ovvero uno dei più scoppiettanti esempi di polemica in lingua italiana (oggi una rubrica di Galileo su un quotidiano farebbe la gioia di qualunque direttore), nonché un capolavoro della letteratura scientifica e un lampante esempio di applicazione pratica del metodo galileiano — poi diventato, com’è noto, sinonimo di metodo scientifico.

Che Grassi non avrà vita facile lo si capisce già dal titolo, in cui Galileo contrappone la bilancia di precisione degli orafi (il saggiatore, appunto) alla grossolana libbra dei venditori di ortaggi. Grassi replicherà insinuando che il saggiatore altro non fosse che un bicchierino per assaporare il vino, e che Galileo ne avesse fatto ripetutamente uso prima di mettersi allo scrittoio (cosa peraltro non del tutto priva di fondamento, essendo Galileo volto ben noto agli avventori delle osterie locali). Insomma, la cosa era degenerata.

Vabbe’, ma che c’entrano le uova, direte. Ci arriviamo subito. Il fatto è che uno degli argomenti attorno a cui ruotava la disputa era se i corpi si riscaldassero per attrito con l’aria. Grassi pensava di sì, Galileo era convinto del contrario. Ora, su questo punto Grassi e Galileo avevano entrambi ragione o entrambi torto, a seconda della situazione specifica presa in esame. Se un corpo viaggia abbastanza velocemente nell’aria può in effetti scaldarsi fino a incendiarsi (come accade alle meteore); ma l’idea di Galileo che il passaggio attraverso l’aria raffreddasse le cose era certamente più giustificata dall’osservazione quotidiana, almeno nel 1600.

Il punto è: come fare a dirimere la questione? Per Galileo c’era un solo modo possibile: osservare direttamente la natura. Per Grassi, aristotelico dentro, la via maestra era quella di rifarsi alla sapienza dei tempi passati. Così, per tirare acqua al suo mulino, l’incauto Grassi/Sarsi non trovò di meglio che citare alcuni testi antichi secondo cui i babilonesi avevano l’abitudine di bollire le uova mettendole in una fionda e facendole roteare velocemente sopra la testa. Se i babilonesi riuscivano a farsi le uova sode in questo modo, era segno che l’attrito dell’aria scaldava, eccome.

Ahia. Qui uno sente distintamente il rumore delle dita di Galileo che scrocchiano.

Ecco la risposta, che vi prego di apprezzare tanto dal punto di vista logico che letterario:

Se il Sarsi vuole ch’io creda […] che i Babilonii cocesser l’uova col girarle velocemente nella fionda, io lo crederò; ma dirò bene, la cagione di tal effetto esser lontanissima da quella che gli viene attribuita, e per trovar la vera io discorrerò così: “Se a noi non succede un effetto che ad altri altra volta è riuscito, è necessario che noi nel nostro operare manchiamo di quello che fu causa della riuscita d’esso effetto, e che non mancando a noi altro che una cosa sola, questa sola cosa sia la vera causa: ora, a noi non mancano uova, né fionde, né uomini robusti che le girino, e pur non si cuocono, anzi, se fusser calde, si raffreddano più presto; e perché non ci manca altro che l’esser di Babilonia, adunque l’esser Babiloni è causa dell’indurirsi l’uova, e non l’attrizion dell’aria”, ch’è quello ch’io volevo provare. È possibile che il Sarsi nel correr la posta non abbia osservato quanta freschezza gli apporti alla faccia quella continua mutazion d’aria? e se pur l’ha sentito, vorrà egli creder più le cose di dumila anni fa, succedute in Babilonia e riferite da altri, che le presenti e ch’egli in se stesso prova?

Insomma, dice Galileo: caro Sarsi, molla ‘sti libri e fai la prova tu stesso. Ti sei mai fatto un uovo sodo ruotando una fionda? Hai mai visto qualcuno farlo? No? E perché no? Se a noi non riesce di bollire le uova alla maniera dei babilonesi, forse vuol dire che bisogna essere babilonesi per riuscirci. O, più probabilmente, che i tuoi libri riferiscono favole. Credi di più a loro o a quello che puoi provare in prima persona?

La risposta era abbastanza ovvia. Come la maggior parte dei suoi colleghi, Grassi argomentava per autorità, abitudine peraltro ancora piuttosto in voga ai giorni nostri e sbeffeggiata da Galileo in uno dei passi più celebri del Saggiatore:

Parmi, oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi ferma credenza, che nel filosofare sia necessario appoggiarsi all’opinioni di qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d’un altro, ne dovesse in tutto rimanere sterile ed infeconda; e forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando furioso, libri ne’ quali la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.

Il metodo scientifico proposto da Galileo in queste poche righe oggi forse ci sembra scontato, ma all’epoca non lo era affatto, evidentemente. Poi, certo, Galileo era un po’ gradasso, e sulle comete è capitato che avesse ragione Grassi. Ma è proprio questo il punto: ogni tanto può anche succedere di avere ragione per il motivo sbagliato. Però senza un metodo affidabile, che funzioni indipendentemente dal Galileo di turno, non si va molto lontano.

Amedeo Balbi

Amedeo Balbi, astrofisico, è ricercatore all'Università di Roma Tor Vergata. Il suo (altro) blog è Keplero. I suoi libri su Amazon. Twitter: @amedeo_balbi