Di questo e di altri universi

Questa settimana, Newsweek ha in copertina un’immagine della Nebulosa Elica, talvolta chiamata Occhio di Dio (in effetti ricorda un occhio: se di Dio non lo so). La storia è un articolo di Brian Greene a proposito del multiverso. E già tutto questo mi sembra da segnalare. Newsweek. Copertina. L’universo. Anzi, il multiverso. Bellissimo: cosa si può chiedere di più?

L’idea che il nostro universo non sia altro che uno fra i tanti esistenti si è guadagnata negli ultimi anni sempre maggiore considerazione tra i cosmologi – quantomeno nel sottoinsieme più incline alle speculazioni teoriche. È anche un’idea che per sua natura suscita grande curiosità fuori dagli ambienti accademici: immaginare che potrebbero esserci innumerevoli copie della realtà con differenti leggi fisiche, magari abitate da differenti versioni di noi stessi, è un pensiero con profonde implicazioni filosofiche e perfino religiose. C’è chi ha salutato il concetto di multiverso come il colpo definitivo all’idea che il cosmo sia il risultato di un progetto intelligente. Le proprietà del nostro universo, che a qualcuno potrebbero sembrare misteriosamente pianificate per contemplare l’emergere della vita e di osservatori autocoscienti, nell’ambito del multiverso diventano semplici caratteristiche contingenti – “geografiche”, per così dire – che non dovrebbero sorprenderci più di quanto ci sorprende il fatto di vivere, tra i tanti pianeti possibili, proprio su uno con acqua liquida e un clima temperato.

L’articolo di Greene (che sull’argomento del multiverso ha di recente pubblicato un libro – peraltro l’ultimo in una serie che include anche quelli di Stephen Hawking e John Barrow, tra gli altri) racconta con la consueta chiarezza come si sia arrivati a ipotizzare l’esistenza del multiverso e quali siano i fondamenti teorici dello scenario. Dà anche conto del dibattito che si è sviluppato tra i suoi sostenitori e chi invece lo giudica un’idea apparentemente impossibile da falsificare – qualcuno dei critici più accesi è arrivato a giudicare l’idea del multiverso quasi altrettanto pseudoscientifica di quella del progetto intelligente. Personalmente sono molto combattuto. Qualche tempo fa ho detto a Max Tegmark (un collega cosmologo che ha ideato una classificazione dei vari tipi di multiverso, e che si è spinto a ipotizzare che ci sia un legame tra realtà fisica e strutture matematiche – ma di questo magari parleremo un’altra volta) che mi sarebbe piaciuto capire una volta per tutte se c’era qualche tipo di osservazione che potessimo fare per mettere alla prova l’ipotesi del multiverso. Mi ha risposto che se una teoria ben formulata dal punto di vista fisico prevede ineluttabilmente A, B, C e D, e se A, B e C sono effettivamente verificati sperimentalmente, allora dobbiamo accettare anche la conseguenza D, anche se non saremo mai in grado di verificarla. Non posso dire che mi abbia convinto, ma questo sembra essere anche il parere di Greene, che la mette così:

“Se una proposta che invoca l’esistenza del multiverso riesce a convincerci facendo previsioni su cose a cui abbiamo accesso, cose che stanno nel nostro universo, allora la nostra confidenza sulle sue previsioni riguardo ad altri universi, domini a cui non abbiamo accesso, giustamente crescerebbe a sua volta.”

Ma poi invita a mantenere un sano scetticismo, usando un esempio che mi piace molto:

“Immaginate se, quando la mela cadde sulla testa di Newton, egli non ne fosse stato ispirato a sviluppare la legge di gravità, ma avesse invece ragionato che alcune mele cadono in basso, altre in alto, e noi osserviamo la varietà che cade in basso semplicemente perché quelle che vanno in alto sono da tempo partite per lo spazio profondo. L’esempio è faceto ma il punto è serio: usato indiscriminatamente, il multiverso può essere una via di fuga che distoglie gli scienziati dal cercare spiegazioni più profonde.”

Chiudo segnalando che intorno al minuto 2 del video che accompagna l’articolo l’intervistatore pone l’immancabile domanda: quali sono le applicazioni pratiche di questa roba? (Io l’avevo detto che va sempre così.) Ecco la risposta di Greene:

“Be’, la risposta più semplice è: non ci sono applicazioni pratiche. Stiamo solo cercando di far avanzare i confini della nostra comprensione di quale sia il nostro posto nel cosmo. Detto questo, però, devo farti notare che se negli anni ’20 o ’30 tu avessi avuto su questa stessa sedia le persone che hanno sviluppato la meccanica quantistica, e avessi chiesto loro, “A che ci serve questa roba?” loro ti avrebbero risposto “Probabilmente non a molto, stiamo tentando di capire gli atomi e le molecole, roba lontana dalla vita di tutti i giorni.” Ma il fatto che hai un telefono cellulare, il fatto che hai un personal computer, il fatto che ci sono meravigliose tecnologie mediche che oggi salvano vite in tutto il mondo, tutto questo si basa sul circuito integrato, che viene fuori dalla meccanica quantistica. La meccanica quantistica è responsabile di qualcosa come il 35% del prodotto interno lordo. Che è solo per dire che la ricerca fondamentale in un certo momento storico può avere grandi applicazioni quando gli dai la possibilità di maturare.”

Su questo – comunque la si pensi sul multiverso – è difficile non essere d’accordo con Greene.

Amedeo Balbi

Amedeo Balbi, astrofisico, è ricercatore all'Università di Roma Tor Vergata. Il suo (altro) blog è Keplero. I suoi libri su Amazon. Twitter: @amedeo_balbi