• Amedeo Balbi Blog
  • Questo articolo ha più di undici anni

Gagarin

Essere cresciuto negli anni Settanta vuol dire non avere ricordi diretti di come era il mondo prima che andare nello spazio fosse considerata una cosa non dico normale, ma certo non fantascientifica. Eravamo già stati sulla Luna, figuriamoci. Oltretutto, la corsa allo spazio l’avevano vinta gli americani, e il modo in cui immaginavamo i viaggi ancora da fare era quello dei film di Hollywood (roba spettacolare, chissà dove saremmo arrivati nel Duemila).

E insomma, non posso dire di avere avuto il mito di Gagarin, da ragazzino. “Gagarin” era semplicemente la risposta alla domanda “chi è stato il primo uomo ad andare nello spazio?”, ma andare nello spazio sembrava talmente scontato che era un po’ come chiedere “chi è stato il primo uomo a volare in aeroplano?”. E poi la parte agiografica era un po’ carente, almeno da questa parte della cortina di ferro. (Solo qualche anno più tardi, scoprii che l’impresa aveva avuto il più improbabile dei cantori in Claudio Baglioni – “e ancora adesso io volo”, ecc. – con risultati peraltro decenti.)

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Comunque, adesso ho un quadro un po’ più chiaro, e apprezzo molto di più il salto nel vuoto compiuto da Yuri Alekseyevich Gagarin, il primo essere umano a guardare la Terra da fuori, esattamente cinquant’anni fa. Chiudersi dentro una specie di palla di cannone con gli oblò, e farsi sparare in cielo per fare un giro intorno alla Terra, ricorda più certi numeri circensi che la grazia delle danze spaziali kubrickiane. E più che il calcolo freddo dello scienziato ci vuole il coraggio dello scavezzacollo, soprattutto se prima di te lo hanno fatto solo una cagnetta e dei manichini. Ma è anche grazie a quel coraggio (lo stesso che poi magari ti porta a schiantarti in un jet) se oggi farsi un giro intorno alla Terra è una cosa quasi alla portata di un miliardario qualunque.