Uber e gli interessi dei consumatori

Il Post spiega molto bene qui i contenuti della “determina dirigenziale” con la quale il Comune di Milano “fissa le modalità e i limiti operativi per il servizio di autonoleggio da rimessa con conducente” nel suo territorio. Se il Comune ha ripreso in mano la disciplina dei cosiddetti “NCC” (auto a noleggio con conducente), è per venire alle prese con la App “Uber”.

Come mi ha giustamente segnalato Dario Denni su Twitter, non si tratta di norme nuove. Perché Uber continua a far discutere e a spaventare? Dopotutto, la App svolge – aggiornate ai tempi che corrono – funzioni che non sono troppo diverse da quelle dei “radio taxi”. Essenzialmente, avvicina la domanda all’offerta di auto a noleggio con conducente, consentendo ai consumatori potenziali di essere informati sulle macchine disponibili potenzialmente più vicine alla loro posizione attuale.

Gli autisti che collaborano con Uber sono stati accusati di illegalità su un punto specifico: in ragione di un decreto di fine 2008 (ah, la lungimiranza del legislatore…), un NCC dovrebbe tornare ogni volta alla propria autorimessa prima di un servizio. Uber, al contrario, ambisce ad aiutare gli autisti proprio a non avere “tempi morti” fra una corsa e l’altra.

Uber può cambiare le regole del gioco. Rende gli autisti NCC un po’ più simili ai tassisti, modificando anche il loro “primo approccio” col cliente. Di norma, con l’NCC c’è un rapporto consolidato – a livello personale o aziendale. I rapporti consolidati sono il sale della terra, ma ovviamente se ci si limita a relazioni faccia-a-faccia, cementate dalla fiducia reciproca, le opportunità di scambio sono limitate. Uber vuole aumentare le opportunità di contatto coi clienti potenziali per gli autisti, consentendo loro di fare un miglior uso del loro tempo (meno tempi morti = miglior utilizzo delle proprie risorse). Il beneficio per gli utenti è dato dal fatto che l’offerta NCC, tradizionalmente “parallela” a quella dei taxi ma non disponibile con le medesime modalità, viene “attivata” anche per le necessità last minute. Non è folle sperare che questo un mercato così “fluidificato” possa vedere anche un’evoluzione dei prezzi.

È evidente perché Uber non piace ai tassisti: consente agli NCC di aggredire una delle loro nicchie di mercato più significative, coloro che hanno bisogno di un’auto pubblica “adesso!” e che pertanto non possono immaginare di risolvere questa necessità in altro modo che ricorrendo ai servizi che essi offrono.

L’attività di tassista si svolge su licenza. Il numero di licenze è pianificato dal pubblico, e il costo della licenza molto elevato. Sotto questo profilo, non è sbagliato sostenere che ci vuole gradualità quando si interviene in questo settore. Il prezzo d’acquisto di una licenza è elevatissimo per tutta la costellazione di promesse che si porta dietro. Il Comune ti promette che regolerà l’offerta e fisserà i prezzi in modo che tu possa sempre e comunque portare a casa pane e companatico.

Dal momento che una liberalizzazione completa (turni liberi, prezzi liberi, servizi liberi) è politicamente inimmaginabile, bisognerebbe che le amministrazioni locali in qualche maniera introducessero misure di compensazione, quando bisogna prendere atto che è ormai impossibile che quelle promesse siano mantenute.

Meglio compensare che frenare. Da questo punto di vista, la storia degli NCC e di Uber è di per sé interessante. Lo Stato, a livello centrale o delle sue articolazioni, tende sempre a pensare che ogni volta che introduce nuove norme le persone risponderanno in un modo soltanto: obbedendo. Il mondo sarebbe un posto molto più semplice, se la vita andasse così. In realtà le persone adattano i loro comportamenti alle nuove regolamentazioni, ma spesse volte per trovare il modo di continuare a fare ciò che desiderano (per esempio, offrire un certo servizio) nel nuovo quadro regolamentare. La stessa concorrenza delle macchine blu è se volete figlia di una pianificazione dell’offerta di auto pubbliche che lasciava pochissimo spazio ai potenziali nuovi arrivati, e che proprio per questo segnalava un’opportunità di profitto per un servizio simile ma offerto solo a quei clienti con maggiore disponibilità a pagare.

Il Comune di Milano dovrebbe cercare di contemperare le esigenze dei tassisti con le aspettative dei consumatori, che desiderano servizi come “Uber” e non capiscono perché debbano acconciarsi ad avere meno libertà di scelta. Ma per riuscire nell’arte difficile di costruire un compromesso intelligente, la politica dovrebbe capire che non può continuare a ragionare come se gli interessi diffusi dei consumatori non contassero mai nulla.

Alberto Mingardi

Alberto Mingardi (1981) è stato fra i fondatori ed è attualmente direttore dell’Istituto Bruno Leoni, think tank che promuove idee per il libero mercato. È adjunct scholar del Cato Institute di Washington DC. Oggi collabora con The Wall Street Journal Europe e con il supplemento domenicale del Sole 24 Ore. Ha scritto L'intelligenza del denaro. Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto (Marsilio, 2013). Twitter: @amingardi.