Zadie e Joni

Anch’io ho scoperto Joni Mitchell molto tardi rispetto alla gran parte della musica a cui mi si ero appassionato da ragazzo, come è successo a Zadie Smith che lo racconta in un bell’articolo sul New Yorker (online a pagamento). Io proprio non l’ho mai intercettata, mentre Zadie Smith dice di non averla capita a lungo. Poi per qualche accidente che non ricordo scegliemmo “All I want” per un passaggio di un documentario che stavamo montando con mio padre, era il 1993, direi. E poi venne tutto il resto.

Ma tra le altre cose su Joni Mitchell di cui scrive Zadie Smith c’è una riflessione sull’effetto emotivo incontrollabile che genera certa musica in certe persone, questione su cui si è studiato e scritto tantissimo, e assai familiare a molti, chi più, chi meno. Negli anni scorsi sono usciti diversi libri interessanti su questo tema, da quello di Oliver Sacks a quelli di Daniel Levitin: e io sono arrivato alla conclusione che per alcuni la musica abbia gli stessi effetti di dipendenza, alienazione e piacere misto a malinconia dati da certe droghe. Zadie Smith ne scrive così:


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).