Tra Renzi e Blair c’è di mezzo un tavolo

Lo attendono tutti al varco lì, aspettando quel momento per decidere se Matteo Renzi può davvero essere il Tony Blair italiano. L’esame si chiama Jobs Act, il giurato si chiama Susanna Camusso: per molti, sulle reazioni della Cgil al piano del lavoro che sarà presentato mercoledì dal governo si misurerà il tasso di discontinuità che il presidente del consiglio “rivoluzionario” è in grado di permettersi. Per quanto semplificatorio, è opinione diffusa che un eventuale placet di Camusso vorrà dire che Renzi non avrà fatto abbastanza. E varrà anche l’opposto, naturalmente: non si può essere davvero Blair se non si litiga da subito con i sindacati.

Scopriremo presto che le cose non sono così elementari. Per consolidata liturgia, possiamo escludere che le confederazioni regalino apprezzamenti a un pacchetto di misure governativo prima che questo abbia attraversato le forche caudine della fatidica trattativa con le parti sociali. Prima del merito viene ancora fatto valere il metodo: i governi sono più o meno apprezzati innanzi tutto sulla disponibilità a riconoscere gli interlocutori privilegiati. Questo fece tutta la differenza tra Monti e Letta: che il professore volle in partenza rigettare il metodo della concertazione preventiva, dando priorità ai poteri di governo e parlamento; mentre Letta ripristinò quelle che i sindacati e Confindustria considerano buone maniere.

Renzi vorrà scegliere fra i due modelli? Tutta la sua storia lo porterebbe a riaffermare (“montianamente”) che sindacati e associazioni non esauriscono affatto il mondo del lavoro e della produzione, tanto meno adesso quello del non-lavoro e della non-produzione. Da capo del governo, per di più con una terribile fretta addosso, potrà permettersi di ritentare lo strappo?

La sua special relationship con Landini e la Fiom ribelle (proprio sul tema della rappresentanza) mette in allarme Camusso, come pure la storia delle consultazioni via email senza apertura di “tavoli” (novità che sconcerta anche Squinzi): di qui ieri un primo avviso a palazzo Chigi dal vertice Cgil. Il primo incontro delle confederazioni con Poletti non è andato bene, ma solo perché il ministro comprensibilmente aveva poco da dire su un Jobs Act che sarà a immagine e somiglianza del premier.

Sarebbe paradossale, ma molto “italiano”, se l’esame di blairismo per Renzi vertesse su una storia di tavoli invece che sulla forza di idee per creare lavoro.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.