Qualsiasi frase

Caro Massimo Gramellini,
l’impressione a proposito della frase di Rocco Casalino che suggerisci nella tua rubrica di oggi è sensata, e l’abbiamo commentata in quel senso anche al Post, ieri, segnalando nella newsletter che divideva tra “indignati e solidali”. Tu dici:

«Siamo onesti: è un banale scambio di insofferenze tra la fonte governativa che non ne può più di parlare e i giornalisti che vogliono sapere. Ma nemmeno il peggior nemico di Casalino potrebbe leggervi, in coscienza, la volontà di ferire Genova e i genovesi. È vero che il diminutivo di Casaleggio è talmente entrato nella parte del manipolatore che ogni tanto finisce per manipolarsi da solo. Ma questa storiella va al di là di tutti i casalini del mondo e certifica lo svuotamento definitivo del discorso pubblico. Abbiamo perso il controllo delle parole. Qualsiasi frase, anche «ciao come stai», una volta salita sulla ruota dei «social» può trasformarsi in un’allusione o in un’offesa. Chi ascolta è sempre più distratto, ipersensibile, prevenuto».

Mi pare che però manchi un pezzo alla tua ricostruzione di come siamo arrivati a questo scenario, poche parole da aggiungere dove parli della “ruota dei «social»”: perché quel meccanismo per il quale “qualsiasi frase, anche «ciao come stai», può trasformarsi in un’allusione o in un’offesa” non lo hanno inventato i «social». Lo hanno inventato i giornali con le trascrizioni servili e scandalistiche delle intercettazioni telefoniche giudiziarie, trasformate in strumenti di umiliazione e persecuzione spesso sulla base di equivoci o letture fuori contesto (quando non in strumenti di abuso a favore delle procure che le passano interessate). O con la citazione di virgolettati isolati, forzati (quando non inventati, ma quella è un’altra storia). Metà delle volte che al Post qualcuno legge di qualcosa che sarebbe stato detto da qualcuno e lo suggerisce per la rubrica “Virgolette”, un controllo più attento sul video, l’audio, o il testo più esteso, suggerisce di rinunciare: a ben vedere, non era andata come è stata presentata.

Come con tutto il resto (le falsificazioni, l’indignazione permanente, l’aggressività polemica, eccetera), è l’informazione tradizionale ad avere insegnato ai lettori le cose peggiori che internet ha dato loro modo di replicare. Ciao.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).