Profumo di futuro

Aver preso il 40% dei voti dell’intera coalizione di centrosinistra senza poter contare su nuovi elettori al ballottaggio, senza aver avuto che uno sparutissimo gruppo di dirigenti e parlamentari ad appoggiarti e avendo contro tutti gli altri 4 i candidati al primo turno è un risultato che ha del miracoloso, ma non basta. Matteo ieri sera ha detto “ho perso” ed è stata la prima volta a mia memoria che ho sentito un politico italiano ammettere la sconfitta, dato che da noi c’è sempre il dato in crescita rispetto alle precedenti regionali, quelle dove eravamo apparentati con la lista “semi di girasole”.

È stato nobile da parte di Matteo dire che in caso di vittoria si è un “noi” ma in caso di sconfitta è solo lui che perde, ma non è vero. Non solo perché abbiamo certamente perso insieme ma sopratutto perché c’è una parte vittoriosa di questo risultato che si deve solo a Matteo, personalmente: la sua campagna ha cambiato il centrosinistra e forse anche la politica italiana, probabilmente per sempre, e questo lo si deve soltanto al suo coraggio. Io voglio ringraziarlo per questo, perché c’è voluto davvero del coraggio per sfidare a mani nude non soltanto un establishment potente, ma anche antichi vizi della nostra mentalità.

C’è voluto coraggio a candidarsi e a lanciare la sfida ma c’è voluto del coraggio anche a dire che è meglio perdere le primarie al sud, se vincerle non significa contemporaneamente uscire da una mentalità assistenzialista. Molti hanno criticato il suo apparire guascone e non so quante volte mi sono sentito dire, anche da eminenti personalità, che non avrebbero votato Renzi perché “non li ispirava” o “non li convinceva sino in fondo” (motivazioni eminentemente politiche, come si vede) ma il coraggio è una qualità fondante della leadership, ed è una dote praticamente introvabile sul mercato politico italiano. Del resto, come sappiamo da scuola, il coraggio “chi non ce l’ha, non se lo può dare”. E almeno Renzi, grazie al cielo, ne ha.

L’Italia si conferma un posto dove culturalmente l’esperienza fa premio sul talento, e dove il motto nazionale rimane quello per cui non conviene mai lasciare le certezze della via vecchia per le incertezze connesse a quella nuova. Siamo fondamentalmente un paese “risk adverse” e il voto di ieri ne rappresenta la conferma più recente, non necessariamente la più eclatante. Per un ammiratore delle democrazie anglosassoni come me, è stata un’ottima novità aver visto due linee politiche – e non due agglomerati correntizi – contrapporsi e sfidarsi davanti al Paese. Una ha vinto, l’altra ha perso.

Cosa succederà ora? Che, come scrivevo ieri, chi ha sostenuto Renzi lavorerà lealmente per sostenere Bersani, senza che questo significhi rinnegare le proprie posizioni. Sarà compito del candidato premier elaborare una linea di governo che sia capace di costruire su quel 40% di consensi che hanno appoggiato la linea dello sconfitto. Compito di Renzi, secondo me, sarà quello di continuare a lavorare per dare voce e rappresentanza a quella linea politica e agli elettori che le hanno dato fiducia. Come? Facendo il Sindaco di Firenze, naturalmente, e continuando a militare nel Partito Democratico, così come ha sempre detto.

Dal mio punto di vista, il lavoro di questi mesi è stato un’esperienza incredibile per molti versi e per una cosa in particolare. Vendola ha detto che Bersani profuma di sinistra, e il segretario-candidato ha confermato: “Se così non fosse, non riconoscerei il mio odorato”, ha detto durante il suo discorso di ieri sera. Ecco: per restare alle sensazioni olfattive, io credo che chiunque abbia lavorato alla campagna di Renzi abbia sentito in questi mesi intorno a lui un inconfondibile, persistente profumo di futuro. Ed è da quello che si deve ripartire.

È stata una grande campagna, in ogni caso, e da democratico sono orgoglioso di tutta la mobilitazione che siamo riusciti a produrre, del dibattito alto che abbiamo creato, della partecipazione e della dignità che in questi mesi siamo riusciti a restituire alla politica. Un unico rimpianto vero per le persone che non abbiamo ammesso ai seggi nel voto di ieri. Bersani avrebbe probabilmente vinto lo stesso e tutte queste limitazioni e ostacoli frapposti al voto sono stati una vera sciocchezza. Ecco, se devo pensare a qualcosa che mi fa sentire molto distante dalla visione di chi ha vinto, più ancora che le audaci visioni economiche di Fassina (o di Vendola), è proprio l’idea di una partecipazione che per me deve diventare sempre più inclusiva e libera. Sarò felice quando ottenere una tessera del PD sarà un processo la cui durata non supererà il minuto di orologio dal momento della richiesta.

Ora pensiamo alle elezioni, e a restituire il paese alla normalità di una grande e matura democrazia. Viva il Partito democratico, viva l’Italia.

Ivan Scalfarotto

Deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Esteri. È stato sottosegretario alle riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento e successivamente al commercio internazionale. Ha fondato Parks, associazione tra imprese per il Diversity Management.