Non vorremo mica migliorare?

Ieri Giorgio Gori ha mandato al Corriere una sua proposta sulla Rai: un abbozzo di indirizzo generale, tutto da progettare, ma interessante e argomentato. Gori propone di dividere la Rai in due strutture che si finanzino una solo col canone (pagato da tutti e non evaso) e una solo con la pubblicità; la prima gestisca delle reti di servizio pubblico, di qualità e indipendente, la seconda sia competitiva sul mercato delle tv con altre reti.

Oggi il Corriere della Sera prova a crearci un “dibattito”: diciamo che interpellare come primo interlocutore Agostino Saccà, riconosciuto protagonista e responsabile di quello che la Rai è stata in questi anni in termini di scelte e funzionamenti (per non parlare di altri elementi di giudizio emersi su di lui nel frattempo), non è l’idea più interessante per un dibattito di qualità sul futuro della tv e sulle sue opportunità.

Quindi le obiezioni di Saccà al progetto di Gori sono prevedibili e conservative, indifferenti all’inadeguatezza odierna del servizio pubblico (che è una parola con un significato, non una definizione a priori) e all’inefficienza della macchina Rai. Saccà si congratula di presunti successi e risultati Rai, e sostiene il mantenimento dello status quo limitandosi a proporre di combattere l’evasione del canone, per investire di più sulle fiction (a proposito di servizio pubblico).

Ma la cosa interessante e sintomatica di meccanismi mentali che conosciamo e che governano l’Italia ancora oggi, è l’espressione usata all’inizio da Saccà per smontare la proposta Gori: “un po’ troppo illuminista, non tiene conto della realtà”. L’idea che nell’Italia del 2012 si debba tener conto della realtà per non cambiarla, e che progetti di miglioramento delle cose, persino “illuministi”, siano sbagliati per questo, è tautologica come obiezione (non cambiate niente, che se no le cose cambiano) ed è ciò che tiene l’Italia nella palude in cui si è cacciata. Che esistano e siano esistiti in questi anni uomini come Saccà che hanno ostacolato ogni possibilità di “illuminazione” di questo paese, definendo “troppo illuminista” ogni visione alternativa, basta a spiegare come siamo messi. “Tener conto della realtà”, badando a conservarla, è stato l’indirizzo finora.

Ma almeno, non chiediamo al Ku Klux Klan cosa pensa dell’abolizione della schiavitù.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).