La “società civile” e le nomine RAI

Se l’avesse escogitato uno degli antipatizzanti della cosiddetta società civile (vicino a Bersani ce ne sono alcuni), non sarebbe venuto così bene. Lo scherzetto che il segretario del Pd ha combinato alle associazioni s’è rivelato insidioso: chiamato a esprimere due nomi per il consiglio d’amministrazione della Rai (solo due: non tre, cinque, una rosa di nomi…), il mondo associativo, rispettabile e carico di onori, ha risposto ma è andato in tilt.

S’è capito che organizzare convegni e manifestazioni, sottoscrivere appelli e proposte di legge, lavorare con dedizione sul territorio nelle situazioni più estreme e disagiate, tutto questo è un conto. Un altro conto è entrare nel tritacarne delle nomine, che vuol dire personalità da selezionare e scartare, competenze da vagliare, ambizioni da contenere; tutto col bilancino dell’appartenenza di genere, dell’adesione a questa o quella sigla e naturalmente, un po’, anche dell’orientamento politico.

Da una convulsa sequenza di riunioni sono usciti i nomi notevoli di Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi. Su entrambi è già scattata l’obiezione della scarsa competenza televisiva: la stessa, impropria, già mossa ai manager scelti dal governo. Ma nel frattempo troppi pezzi si sono persi per strada. Le donne non hanno accettato il metodo. Soprattutto s’è chiamato fuori il mondo associativo cattolico, cioè gran parte della galassia, restituendo al Pd un delicato problema che Bersani ha saltato senza affrontarlo. Insomma, per ogni nodo sciolto se n’è aggrovigliato uno nuovo. E i cattolici hanno ritirato fuori la parola velenosa: è un’altra lottizzazione.

La verità è che, stante l’attuale sistema di governo del servizio pubblico, non solo televisivo, solo i partiti possiedono i codici e le procedure per fare (talvolta bene) quello sporco lavoro. E in questa vicenda, come in altre, in piena tensione antipartitocratica emergono le caratteristiche della “società civile”: a sua volta frammentata, liquida, irriducibile a logiche unitarie, impreparata ad assumere ruoli di governo e in definitiva di supplenza.

In un certo senso è una buona notizia: tanti pensano che le associazioni esattamente così debbano essere e rimanere. E che la migliore divisione del lavoro affidi ancora ai partiti il ruolo di cerniera per il funzionamento della macchina di governo, amministrativa, legislativa. Rimane il dubbio: Bersani, lo scherzetto, l’ha fatto apposta, o voleva solo liberarsi di una rogna?

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.