L’agenda di Monti non cambia

È stata una giornata nera per la democrazia? Andiamoci piano. Non cadiamo nelle trappole, distinguiamo e soprattutto non perdiamo di vista il quadro generale. Che è il seguente: si giocano due partite parallele in Italia. Una riguarda l’autoriforma della politica e l’altra riguarda i grandi cambiamenti possibili che il governo Monti sta per varare per l’economia reale e per la vita di tutti i giorni.

L’autoriforma della politica, il suo ritrovare una sintonia col paese, s’è confermata ieri un percorso molto difficile. C’è un unico nesso proponibile tra la sentenza della Corte costituzionale e il voto della camera contro l’arresto di Cosentino. Ed è questo: la Consulta restituisce al parlamento la piena potestà sulla riforma elettorale nel giorno in cui lo stesso parlamento mostra ancora di funzionare secondo la logica e gli schieramenti dell’era berlusconiana. In entrambi i casi (ma è pienamente vero solo nel primo) vengono disinnescate il peso e l’attesa dell’opinione pubblica più militante.

Non essendo il parlamento un tribunale, non diremmo che il mancato arresto di Cosentino sia un atto di denegata giustizia: questa farà il suo corso, in ogni caso. Nei modi in cui s’è svolto, però, il voto è una copertura data a un parlamentare per motivi esclusivamente politici, come conferma lo psicodramma che si è aperto nella Lega. Questo non può piacere agli italiani, anche se non è la prima volta che accade.

Neanche il rigetto dei referendum può far piacere ai cittadini, come certo non piace a noi di Europa (il giornale che dirigo) che quei referendum avevamo promosso e difeso. Ma il dispiacere non nasce da un vulnus democratico, che non c’è, bensì dai dubbi sulla volontà e sulla capacità di riforma di questo parlamento una volta libero della minaccia referendaria.

Gran parte dell’onere di dissipare i dubbi spetta al Pd, il cui popolo nell’estate scorsa espresse chiaramente le proprie intenzioni e preferenze, travolgendo anche le esitazioni del gruppo dirigente.
Le intenzioni sulla cancellazione del Porcellum sono tutte buone, confermate ieri sia dal Pd che dal Pdl e avallate non dalla Corte costituzionale (come sembrava in un primo tempo, e come sarebbe decisamente irrituale) ma da un comunicato congiunto di Napolitano e dei presidenti delle camere che, nel difendere l’operato della Consulta dall’ennesima aggressione scomposta di Di Pietro, collocano però la palla al centro del campo parlamentare, dicendo che la partita va giocata.

Da adesso in poi assisteremo sul tema a una serie di manovre molto complicate (qui si sentirà l’assenza della pressione referendaria), tutte riferite solo in parte alla necessità di fare una buona legge elettorale, e in realtà prodromiche alle alleanze in vista della fine della legislatura. Tutto ciò però è solo una parte dell’agenda politica. Importantissima, ma non la più importante.

Per capirci, è chiaro che della convulsa giornata di ieri Mario Monti abbia valutato soprattutto una notizia: il successo dell’asta dei Bot a sei e dodici mesi, collocati con rendimenti dell’1,5 per cento, e il contemporaneo calo netto dello spread. Ossigeno puro. Conferma di fiducia. Incoraggiamento. È qui che si gioca la partita più immediata sul futuro dell’Italia. E la madre di tutte le battaglie è il piano di liberalizzazioni che il governo sta predisponendo, a quanto si capisce con uno spettro che finalmente va dalle categorie ai grandi poteri. È bastata la diffusione di una bozza perché il paese venisse percorso da brividi di rivolta o di speranza: come ha detto il democratico Lirosi, Monti ha suscitato aspettative molto alte. La guerra dei taxi è solo la punta emergente dell’iceberg, ognuno sarà in grado di valutare cambiamenti nella propria sfera di vita quotidiana (quanto ai taxi: la rivolta selvaggia di ieri a Napoli e poi a Roma e a Milano li mette in una posizione disperata. Su questa linea non basterà l’appoggio dello strano trio Bossi, Alemanno e de Magistris a salvarli).

La domanda allora è quanto le vicende di ieri potranno influire sull’agenda Monti. Pdl e Lega hanno detto di voler sfruttare il voto su Cosentino per alzare il proprio potere negoziale sulle (o meglio, contro le) liberalizzazioni. Si illudono. Il voto e la maggioranza di ieri sono scorie del passato. La partita nel 2012 la vince chi ha le idee migliori e il consenso per farle passare.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.