Meno male che Silvio c’è

Oggi ho ascoltato gli ennesimi commenti su “certo che bisogna ammettere Berlusconi è bravo”, diventati la versione 2000 delle sventate lodi che la sinistra ha tessuto per decenni nei confronti di Andreotti. Ed è normale, attribuire straordinarie capacità all’avversario è un modo per dare un senso alle proprie sconfitte e non confrontarsi con i propri fallimenti, e distanziarsi saggiamente dalla demonizzazione del nemico. Ma posto che Berlusconi è sicuramente un personaggio eccezionale, vediamo anche di darci una regolata e sottrarci a un tormentone da conversazione che è diventato pigro e rituale quasi quanto “non ci sono più le mezze stagioni”; “certo che è bravo, Berlusconi”.

Berlusconi non è bravo: Berlusconi lo è stato in passato, e ha costruito un capitale di dipendenza dalle sue parole nei media e negli italiani. Se le cose che ha detto in queste settimane le avesse dette un altro, non se le sarebbe filate nessuno: salvo un’atletica performance da Santoro, il resto è stata routine di boutades (ou-ou). Non è “lui che detta l’agenda”, come ha detto stasera Lilli Gruber: è l’agenda che si fa dettare solo da lui, rapita da una sindrome di Stoccolma. In parte siamo illusi che sfotterlo e criticarlo ci metta in una posizione di forza – e vent’anni ci hanno dimostrato che ci siamo cascati come polli – e in parte abbiamo costruito rendite di posizione da professionisti dell’antiberlusconismo, come avrebbe detto Sciascia.

Io non so se davvero esiste questa tanto esibita rimonta di Berlusconi: quello che so è che se esiste non è nata dalla bravura di Berlusconi, è nata dal suo semplice rimettere fuori il naso, per l’eccitazione di un paese deluso e annoiato da un anno di politica normale.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).