Meglio che il Pdl non esageri nella reazione

La coincidenza è forte, l’impatto è duro. Dopo vent’anni al centro della scena, protagonisti e simboli della politica italiana e dell’Italia nel mondo, Silvio Berlusconi e Romano Prodi vivono un’altra giornata da primattori. Ma in che ruoli diversi, e con quali diverse prospettive.

In teoria per entrambi si tratta dell’addio a ogni carica pubblica. Per Prodi di sua volontà, per Berlusconi per la forza della legge. La realtà non sarà così, probabilmente per nessuno dei due.
Ma mentre Prodi potrà, se vorrà, ritornare nel gioco che oggi dichiara “chiuso” sulle ali di una vittoria del suo antico progetto e per risarcimento ai danni politici ricevuti, per Berlusconi il ritorno e la eventuale rivincita avranno tutt’altri toni, tutt’altre condizioni, tutt’altra drammaticità.
Da ieri in tutto il mondo si può legittimamente affermare che l’Italia è stata governata per dieci anni da uno sfruttatore di prostitute minorenni e corruttore di pubblici ufficiali.
È una verità giudiziaria dura da mandare giù, dalla quale io almeno non riesco a trarre alcun motivo di giubilo. Prima di ogni valutazione sul quadro politico, sulla tenuta del governo e della legislatura, sulla fatale estremizzazione che muterà i già esterni caratteri del Pdl, prima di ogni analisi e previsione, è con questa realtà amara che tocca fare i conti.

E perfino chi crede che la sentenza di ieri non sia un atto di giustizia ma solo l’ennesima puntata della guerra eterna fra Berlusconi e la magistratura “politicizzata” dovrebbe riconoscere che in ogni caso il responsabile primo e principale di questa situazione, umiliante per tutti, è lui. È di colui che non è mai stato in grado di proteggere la funzione e l’immagine del leader pubblico dai comportamenti dell’uomo privato. Anzi, non ha mai voluto farlo, rifiutando perfino quelle ipocrisie minori che tengono la comunità al riparo dalle umanissime debolezze dei singoli.
Questa è la colpa che – senza condanna ma anche senza appello – ci sentiamo oggi di attribuire definitivamente a Berlusconi. E i suoi sostenitori, comprensibilmente scatenati, dovranno valutare bene dove e come scaricare la propria rabbia: è ormai da qualche anno che gli italiani hanno dimostrato di averne abbastanza di questo melodramma interminabile.

Il governo Letta è nato vaccinato, ogni sentenza era messa in conto (anche se quella di ieri ha superato per durezza ogni aspettativa). Ed era nel conto che il Pdl promettesse di non rivalersi sull’esecutivo. Il dubbio però a questo punto è un altro e riguarda il Pd, non il Pdl: quale sarà la soglia di polemica fra centrodestra e magistrati che i democratici riterranno sostenibile? I berlusconiani che stasera dicono “non si può andare avanti così” devono sapere che questa esasperazione la provano tutti. E che il desiderio di passare definitivamente a un’altra stagione della storia d’Italia si sta facendo irresistibile, tale da travolgere ogni calcolo di prudenza.

Vogliamo uscire da questo tunnel. Vogliamo vivere in un paese dove si possa salutare un leader che lascia e magari sognare di coinvolgerlo di nuovo, come noi vorremmo fare con Romano Prodi, senza dover minacciare rivoluzioni.
Berlusconi e i suoi efficacissimi avvocati preparino come è loro diritto i ricorsi in appello e ogni altra ammissibile iniziativa di difesa. Se il loro braccio politico esagererà nella risposta, si porrà il problema di come accelerare l’interdizione di Berlusconi dal governo non per via giudiziaria ma per via elettorale, con il pregio della immediata esecutività.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.