L’imbarazzo intorno a Ciancimino

La storia di Massimo Ciancimino, delle sue accuse, del suo arresto, racconta un sacco di cose, che mi pare che i giornali stiano un po’ eludendo, forse nell’imbarazzo di dover raccontare le balle e le inaffidabilità di uno di cui fino a ieri celebravano le verità e le rivelazioni. È un imbarazzo in cui stanno cercando di districarsi le stesse procure siciliane, ma per i giornali – più estranei ancora ai concetti di sfumature, dubbio, complessità – è ancora più arduo.

Se – cosa tutta da confermare e che lui nega – Ciancimino ha appiccicato il nome di De Gennaro su un documento in cui quel nome non c’era, il racconto di quello che ha fatto e delle sue conseguenze è invece un lavoro molto importante e che suggerirebbe anche una maggior ricchezza di analisi e commenti. Perché rappresenta l’affiorare visibile e spettacolare – grazie ai nomi noti coinvolti – di un evento comune tra gli umani e nelle inchieste giudiziarie: l’accusa falsificata, e il credito che solitamente ottiene. Noi siamo abituati a dare istintivamente credito alle accuse, molto più che a sottoporle a dubbio: per molte ragioni legate a nostri cattivi sentimenti, al concorso sventato dei media e infine a umane e ingenue considerazioni come “perché dovrebbe mentire?”, “qualcosa di vero ci sarà”, eccetera. Quando invece la storia umana e giudiziaria dimostra una frequenza ricchissima di accuse false, completamente false e nate dalle motivazioni più varie e inafferrabili. Tanto è vero che i codici penali impongono di non dare nessuna validità a un’accusa che non sia confortata da altro.

Noi però ci comportiamo diversamente dai codici, e se io adesso scrivessi qui che Ciancimino a Perugia – dove era stato sventatamente invitato al Festival del Giornalismo – mentre facevamo colazione nella stessa sala mi ha rubato la crostata di frutta, anche chi non mi conosca e si limiti a passare di qui per la prima volta penserà sia vero, come è normale. Il problema è quando di questa superficialità diventano succubi anche i media, riprendendo acriticamente la storia della crostata e facendone titoli – sapendo che ai lettori piacerà, vera o falsa che sia – e quando ne diventano succubi i magistrati, costruendo inchieste, processi e anche condanne sulla base della stessa approssimazione. E alle prime obiezioni, basterà mostrare un programma di Perugia in cui comparivamo entrambi, o una foto in cui si vede che facemmo colazione nella stessa sala, e la mia versione risulterà granitica.

Per questo la storia Ciancimino – ripeto: tutta da dimostrare – è importante. Perché se è vera dice che un uomo è stato accusato e sospettato di essere in un “quarto livello” della mafia sulla base di un’invenzione senza ragioni o secondi fini immediatamente visibili. E – anche se non fosse vera – questo avviene continuamente.


Vedi anche:

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).