L’unico antidoto al Big Brother

Nessun despota dell’antichità, nessun monarca assoluto dell’età moderna, pur circondato da mille spie, è mai riuscito ad avere sui suoi sudditi tutte quelle informazioni che il più democratico dei governi può attingere dall’uso dei cervelli elettronici

Quando Bobbio scrisse questa frase, Mark Zuckerberg aveva circa 10 anni, e l’uso del termine “cervelli elettronici” suona antico come la sigla di carosello o il sibilo di un modem. Il web di fatto non esisteva.

Oggi su Facebook vi sono tanti utenti quanta l’intera popolazione mondiale agli inizi dell’Ottocento e i “cervelli elettronici” li abbiamo in tasca, ogni giorno, costantemente connessi.
L’inondazione di dati, in gran parte personali, che quotidianamente, e più o meno volontariamente, generiamo in rete può condurre facilmente ad apocalittici scenari amplificando l’inquietudine di Bobbio. Ed ogni tanto voci di terrore appaiono anche sul web.

Eppure son convinto che una mente acuta come fu Bobbio, oggi, formulerebbe quella frase nell’esatto inverso:

In nessun tempo della storia dell’uomo i cittadini (o i sudditi) hanno avuto tante possibilità di accedere ad informazioni e notizie sui loro governanti e sul loro agire come oggi, grazie alla rete.

Ed è proprio in quest’inversione di prospettiva che si cela a mio giudizio l’unico efficace antidoto ai rischi del Big Brother. Nella tutela di internet come straordinario strumento di informazione, partecipazione e democrazia.

Tanto i nostri dati in rete ci sono. Parlare di “privacy” sul web rischia di generare fraintendimeti.

Se pensiamo alla privacy come un derivato del diritto alla riservatezza, come una banale evoluzione del diritto di star da soli, allora le nostre società sono schizofreniche: siamo preoccupati che si sappia tutto, ma popoliamo la rete mondiale dei nostri dati sui socialnetwork, pubblichiamo le nostre foto, i nostri gusti e pur di avere l’indicazione della pizzeria più vicina ci facciamo tracciare come polli in batteria.
Nella realtà, non vi è alcuna contraddizione tra un’alta tutela dei propri dati ed il successo di piattaforme come Facebook. Basta intendersi sul concetto di privacy.
Ciò che infatti ci inquieta non è che vi siano i nostri dati sul web, o che siano reperibili e visibili da alcuni, molti o tutti, ma il fatto di non poterli controllare, di non poter scegliere, di non sapere chi ne farà uso, a che fine e per quali scopi.

Ma questo aspetto, almeno per quanto riguarda le ingerenze di governi e autorità varie, è un problema di democrazia, trasparenza e informazione.
Una rete aperta, neutrale e accessibile, che non subisca filtri, controlli e blocchi è l’unico mezzo per consentire agli utenti di sapere, valutare e scegliere. Ed è l’unico mezzo per giudicare e reagire a ogni tentativo di abuso e a ogni tentativo di controllo. E sto parlando delle nostre democrazie, non di Stati autoritari.

Diffidiamo dunque da chi, in nome della privacy, propone filtri e controlli sul web: sono fregature. L’unica possibilità per evitare violazioni sistematiche della privacy da parte dei governi e del potere costituito è tutelare internet. Se la rete rimane libera, accessibile e neutrale, il grande fratello è sotto controllo.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter