La rivoluzione è una cosa seria

È trascorsa, assai rapidamente, la mia prima settimana in Tunisia. L’entusiasmo per questa nuova esperienza rimane alto, sebbene abbia già avuto diversi assaggi di quanto lente procedano le cose. Da mercoledì scorso è entrato in vigore l’orario di lavoro estivo che si protrarrà fino alla fine di agosto. Più comunemente conosciuta come la séance unique, significa che gli uffici pubblici, i negozi, le banche e le compagnie private aprono dalle 8 alle 13.30, poi tutti al mare! Fanno eccezione i centri commerciali, che Allah li benedica. Facile immaginare i disguidi che ciò comporti sulla tabella di marcia della nostra missione, mentre cerchiamo di noleggiare auto, fittare casa e ufficio, preparare l’arrivo degli altri colleghi, introdurci agli interlocutori locali, e via dicendo. Figuriamoci cosa sarà ad agosto, che quest’anno è interamente mese di Ramadam!

Sembra paradossale ma è così, infatti, che in località turistiche quali Sidi Bou Said, La Marsa, Chartage, anche molti dei negozi di souvenir rispettino la séance unique. Si tratta di un’eredità del protettorato francese che, alla fine del XIX secolo, introdusse questa pratica addirittura dal principio di maggio fino alla fine di ottobre. Nel tempo, poi, le autorità locali ne hanno mano a mano ristretto la portata dati gli inevitabili effetti negativi sul flusso economico. Quest’anno, visto il calo di affluenza turistica, si attendeva la sospensione della sessione unica. Ma in Tunisia, oggi, nessuno prende decisioni… perché nessuno ne è legittimato: dallo Stato onnipresente allo Stato inesistente.

È solo una settimana che sono qui ma questo l’ho capito e ho capito pure che: la perdita di un buon numero di turisti é malheuresement bilanciata dall’afflusso di libici in fuga da Tripoli: i poveracci sono accampati al confine sud-est tra i due paesi, mentre i facoltosi – che sono molti – hanno affollato le ville e gli appartamenti di Tunisi e dintorni, noleggiato molte delle voitures disponibili e gozzovigliano lungo la costa tunisina ove possono permettersi svaghi impensabili dall’altra parte della frontiera.

Ho capito anche che… decifrare gli eventi che hanno portato alla fuga di Ben Ali il 14 gennaio è altrettanto arduo quanto impossibile era prevederlo per qualunque analista di politica internazionale e mediterranea. Ho capito che non bisogna mai sopravvalutare il popolo né mai sottovalutarlo! Ho capito e visto con i miei occhi quanto radicato e capillare fosse il potere della famiglia Ben Ali e di Leila Trabelsi, sposata in seconde nozze e detta anche la Regente de Chartage o la cleptodame. In posizione dominante in ogni aspetto della vita socio-economico-finanziaria del paese, le fortune accumulate dai due clan di famiglia vengono stimate rispettivamente in 5 e 12 miliardi di euro, pari alla metà dell’intero prodotto interno lordo della Tunisia. Tutti i loro beni in patria sono stati, quindi, a loro volta saccheggiati, bruciati, confiscati, come quelli dei più fedeli uomini del loro entourage, oggi interdetti dalle pubbliche funzioni e in buona parte sotto processo. Certo, molti dei processi in contumacia, terminati con rapidissime sentenze di condanna senza appello che infliggono decenni di carcere che non saranno mai scontati e sanzioni economiche che non saranno mai pagate, mi ricordano processi di altri Stati in altri tempi che non hanno molto contribuito alla prosperità futura delle generazioni a seguire. Ma ad Hammamet non sono ancora andato!

Una cosa, invece, l’ho capita già da tempo: la Rivoluzione è una cosa seria, non è mica una festa. La Rivoluzione è l’evento in assoluto che più di ogni altro dissemina incertezza sul futuro: di certo c’è che le cose non saranno mai più come prima, ma nemmeno è matematico che le cose saranno meglio di prima. Gestire il potere non è un gioco da ragazzi e per parvenus della politica, non sono solo i sogni e le belle parole che decidono il bene e il giusto di un popolo e un paese. La Rivoluzione crea un vacuum decisionale che nel caso della Tunisia non è stato colmato poiché tuttavia non vi è un’élite trainante né un intellighentia che abbia assunto un ruolo di leadership rispetto al malcontento delle masse di operai, professori, studenti, disoccupati scesi in strada contro i soprusi di un potere debordante, arrogante e autoreferenziale.

Su un altro piano, se c’è un paese a cui paragonerei l’attuale paesaggio politico tunisino è la Turchia. L’equazione che propongo è molto semplice: Habib Bourguiba è stato ieri a Kemal Ataturk come oggi Rached Ghannouchi aspirerebbe a Tayyip Erdogan.

Ma su laicità e/o religiosità dello Stato, identità araba e/o musulmana, sulla proliferazione di partiti politici e associazioni della società civile, sul ruolo delle donne durante la Rivoluzione e il futuro che le aspetta, sui vari aspetti del processo di transizione democratica in corso, sicuramente tornerò nelle prossime puntate di questi appunti.

Detto ciò, francamente ancora non lo so se in Tunisia vi sia stata una rivoluzione, una rivolta… o un colpo di stato. La ricerca di una pista da seguire mi affascina mentre so di certo che in Tunisia, oggi, si può scrivere e parlare liberamente.

Incontri particolari/1

Venerdì sera, presso l’Ambasciata italiana, ho partecipato ad una cena organizzata per la visita di Marco Pannella ed Emma Bonino che, con una flottiglia di Radicali italiani, sono venuti a Tunisi dove si terrà il prossimo Consiglio Transnazionale dei Radicali dal 24 al 26 luglio. Quando ho chiesto a Pannella di fare una foto con lui, mi ha detto: “Sei sicuro, guarda che ti sputtani tu!”.

Michele Camerota

Michele Camerota è di Scauri (Lt), laurea in scienze politiche, master in diritti umani, viaggia e lavora in quattro continenti come osservatore elettorale e affini. Saldamente legato alle sue origini.