La nuova linea del PD

Sarà anche un eversore delle liturgie di Palazzo, certo che Matteo Renzi quando vuole sa tirare fuori malizie tattiche da vecchio navigatore. E infatti ce ne voleva ieri di agilità, per sfuggire a ogni assunzione di responsabilità verso il governo lasciando tutto il sistema politico, a cominciare dal presidente del consiglio, appeso nell’incertezza per altri quindici giorni.

Se dovessimo stare alla lettera delle parole del segretario (e l’esperienza suggerisce che con lui questa è la cosa più saggia da fare), dopo la direzione di ieri per il Pd nessuna ipotesi è più esclusa. Fino alla vigilia (anzi fino alla relazione introduttiva) eravamo ancora all’orizzonte della legislatura che dura fino al 2015, comprensiva di riforme costituzionali e di piena attività del governo Letta. Ora la linea è cambiata. Diciamo che si è estesa ad altre opzioni, che Renzi dichiara aperte facendole abilmente passare non per una scelta sua, ma per cedimento a una pressione che sale dalla direzione del partito e dai partiti alleati.

Per cui tra quindici giorni il Pd potrebbe in teoria decidere qualsiasi svolta.
Potrebbe riconfermare la fiducia all’attuale governo Letta fino al 2015, o addirittura oltre. Ma anche accettare l’ipotesi di un Letta bis. Ma anche (clamorosamente) darla vinta a chi vorrebbe Renzi a palazzo Chigi. Ma anche (ancora più clamorosamente) dichiarare impraticabile l’ulteriore proseguimento della legislatura e quindi la volontà di elezioni anticipate.
Può darsi benissimo che il 20 febbraio, dopo due settimane di irrefrenabili retroscena giornalistici, non succeda nulla di particolare, e che si riprenda secondo la “normale” tabella di marcia. Non possiamo però esserne sicuri. Renzi ha lasciato che la sinistra interna gli chiedesse di uscire allo scoperto. E ha lasciato che lo stesso Letta facesse mostra di ottimismo e di impegno sull’agenda delle riforme istituzionali. Poi ha sfruttato le critiche espresse da molti interventi verso il governo per, diciamo così, “sospendere” la definizione della linea del partito.

È una scelta rischiosa. Che aumenterà le pressioni su Renzi, invece di alleggerirle. Che renderà più tesi i rapporti con palazzo Chigi. E che infine esporrà a ulteriori pericoli il percorso parlamentare delle riforme. Difficile indovinare che cosa ne pensi il capo dello stato, che ieri prima della direzione aveva ricevuto il ministro renziano Delrio.
L’unica cosa certa è che ieri l’uomo della massima trasparenza ha cominciato una partita nella quale terrà le carte molto coperte.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.