La donna che creò la classe media

Quanti sanno che la CBI, la Confindustria inglese, fu per i primi anni una strenua oppositrice della nuova politica economica di Margaret Thatcher? Io lo imparai negli anni del dottorato, quando avevo tempo di leggere gli archivi (comunque ora è tutto online o quasi). Sono poche le figure che hanno lasciato un segno sulla storia economica – e dunque politica, sociale, civile, culturale – del pianeta quanto lei, ma non si comprende il significato del concetto stesso di leadership se sfuggono quegli anni del suo primo governo. è costume delle nostre latitudini prendersela con le leggi elettorali, e beati loro gli inglesi e francesi che sì riescono a governare. Eppure, la vittoria elettorale del 1979 dei Tory era stata preceduta da due tornate sostanzialmente non risolutive, con debolissime maggioranze di un Labour party molto diviso e incapace di far rispettare ai sindacati i patti che essi stessi sottoscrivevano, con una economia in caduta libera.

In quegli anni, ci consola un po’ ricordarlo, la Gran Bretagna era considerata “The Sick Man of Europe”, il malato d’Europa, epiteto che è ormai nostro da almeno un decennio. Arrivò poi Margaret Thatcher a convincere i britannici che l’inflazione era la causa di tutti i guai e stravinse le elezioni con il più massiccio spostamento di voti del secolo – pareggiato da Tony Blair quasi vent’anni dopo.

Il cambiamento di paradigma che proposero i Conservatori alle elezioni, e lei riuscì a mantenere, vide l’ostilità aperta di moltissimi dei suoi sostenitori, non appena si accorsero che quella politica finiva per danneggiarli: il primo ministro rispose alle critiche suggerendo che se l’industria inglese andava male era a causa di un management non molto capace, abituato a chiedere aiuto allo stato anziché risolvere problemi. Tenne duro, si alleò con l’industria finanziaria nascente, e vinse la battaglia culturale interna al punto che oggi le politiche “thatcheriane” sono considerate per antonomasia a favore degli imprenditori. Eppure all’inizio non era così, anzi sono costate carissime a molti imprenditori.

Erano anni in Inghilterra d’inflazione a due cifre per abbassare la quale si sacrificarono industrie alla crisi e milioni di lavoratori alla disoccupazione. Il prezzo sociale dell’aggiustamento fu molto alto, ma nessuno fu in grado di elaborare un’alternativa convincente per diciotto lunghi anni. Ne uscì un Regno Unito profondamente diviso da un punto di vista economico, con larghissime sacche di povertà e un numero impressionante di miliardari. Nei grandi centri urbani la polverizzazione sociale non si è più risolta, come dimostrarono i tumulti di due anni fa nelle periferie di Londra, i saccheggi di scarpe alla moda: senza politica, senza senso, paradosso di gesti collettivi mossi dall’individualismo più povero e superficiale.

Eppure la Thatcher ha lasciato anche una economia e una società molto dinamiche e libere, con una estesa e attenta classe media che ha potuto fiorire e diventare punto di attrazione internazionale quando al ventennio conservatore del tutto restrittivo si è sostituito un quindicennio laburista di segno opposto: concentrato sulla scuola e sulla sanità pubbliche, sulla apertura culturale, su una crescita attenta e calibrata di spesa sociale e culturale i cui frutti sono ancora ben presenti nonostante il cambio di governo e la successiva nuova vittoria dei Conservatori.
Un’economia aperta e funzionante apre sempre le possibilità, un’economia stagnante castra invece ogni speranza. Una economia funzionante nutre la democrazia matura: senza crescita economica, senza opportunità, trionfano i populismi.

Dal punto di vista soggettivo, quel che rimane, e che si scorge nei tratti diffusi del popolo britannico, è l’amor proprio di chi preferisce combattere, vincere e perdere, piuttosto che galleggiare. In un leader questo amor proprio consente grandi cambiamenti che si portano dietro una nazione: nella vita di tutti, è l’amor proprio del semplice rispetto delle regole e del disprezzo sia degli alibi che delle ragioni terze alle proprie sconfitte.

(Per Europa)

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_