Colpevoli, innocenti, colpevoli…

Amanda Knox e Raffaele Sollecito erano i colpevoli perfetti. Lo erano fin dal 6 novembre 2007, quando vennero arrestati e divennero subito “i fidanzatini diabolici”, quelli che si baciavano davanti ai fotografi. Lei “faccia d’angelo”, l’americana che andava col fidanzato nei negozi di biancheria intima, dark lady nemmeno a vent’anni. Lui il figlio del professionista pugliese, di buona famiglia, irretito da lei, soggiogato e succube. Due ragazzi fatti a forma di colpevoli. Giornalisti si scatenarono tra Seattle e Giovinazzo: «Con chi ha perso la verginità Amanda? Con quanti uomini è stata?».

Colpevoli, innocenti, poi di nuovo colpevoli. Non c’è una prova regina in questa storia, la smoking gun. C’è una verità giudiziaria, mille dubbi resteranno, sarebbero restati anche in caso di assoluzione. Resta quell’accusa che Amanda fece all’innocente Lumumba, che pesa come un macigno e a cui i giudici hanno dato rilevanza decisiva. A poco sono valse le giustificazioni della Knox e le spiegazioni degli avvocati su dichiarazioni fatte sotto pressione durante l’interrogatorio.
Ma resta anche un’emblematica storia italiana, con periti e magistrati che si scannano tra loro, con articoli che evocano “lobby di Seattle”, con coltelli che “non è da escludere si tratti dell’arma del delitto”, con possibili prove lasciate su un pavimento e repertate 46 giorni dopo il delitto, con sei anni e mezzo di processi e tre moventi diversi: gelosia, gioco sessuale finito male e infine una lite perché uno dei presenti non aveva tirato lo sciacquone.

Intorno, racconti di dark lady e gioventù bruciate, articoli e trasmissioni, libri su libri, film realizzati e in divenire, milioni spesi in avvocati e soldi guadagnati con memorie esclusive, case ipotecate e vendute, pianti in diretta e lettere, viaggi a Santo Domingo scambiati per fughe e ipotesi di fughe vere bloccate sul nascere, programmi che si contendono criminologi, commentatrici che fanno a gara a chi ne sa di meno, teoremi sul razzismo (“pagherà solo il nero Rudy Guede”, dicevano in tanti), urla di tifoserie contrapposte, americani che non capiscono e italiani che tirano in ballo il Cermis (ma che c’entra?). In disparte, con dignità e silenzio, la famiglia di Meredith Kercher, sempre più incredula.
È stata costruita una fiction. Lei, Meredith, è morta davvero.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.