Il consenso popolare di Matteo Renzi

Ho visto molti presidenti del consiglio sfilare prima dei reparti militari davanti alle tribune del 2 giugno. Quelli della Prima repubblica, nel disinteresse. Prodi che prendeva fischi. Berlusconi che prendeva applausi (e isolati fischi) sempre ben distante dalle transenne. Mai vista, in anni, la scena di lunedì mattina, con Matteo Renzi acclamato come la fanfara dei bersaglieri, cercato e incoraggiato, toccato, fotografato. In un microcosmo italiano particolare: tante famiglie di militari, inquiete per la sorte dei due marò, più facilmente elettori di destra che di sinistra.

Un politico, di grande potere, che di questi tempi non solo gira per strada senza temere offese, ma cerca la piazza suscitandone l’entusiasmo: nessuno potrebbe permetterselo oggi, non solo in Italia.
Noto tutto questo non per elevare Renzi su un monumento, ma per scaricare sulle sue spalle una responsabilità gigantesca.
Davvero ormai non ha alibi. Ha dalla sua un consenso popolare perfino superiore a quello certificato dalle urne. Un partito incredibilmente unito, per la prima volta. Le opposizioni politiche dilaniate in dispute cruente: Grillo che rompe col suo coté intellettuale, la resa dei conti tra berlusconiani nell’ultima ridotta di Berlusconi. Perfino l’arcigna Europa deve far prevalere il calcolo e il favore politico, rispetto al giudizio sulle cifre ancora amare dell’economia italiana.
Tutto ciò alza la posta in palio. Le molte misure parcheggiate devono partire, neanche la ruggine istituzionale giustificherebbe agli occhi di quegli italiani ritardi, ripensamenti, fallimenti. Applaudito come i bersaglieri, Renzi può (anzi deve) evitare la fanfara, ma non può fermare la corsa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.