I tifosi delusi della guerra civile

Tanti la vivono come una tragedia, a cominciare dal protagonista. Ma la vigilia della decadenza di Berlusconi rimane un melodramma. Colpi di scena, cambi d’umore e di copione, momenti tristi e di pura comicità. Si faccia avanti chi prevedeva che, invece di predisporre un durissimo intervento d’accusa da recitare domani con solennità nell’aula del senato, Berlusconi stesse scrivendo una mitissima lettera ai suoi nemici giurati – il Pd e perfino M5S – quasi implorandoli di rinviare il voto e di dare un’occhiata alle risolutive “carte segrete” di Frank Agrama.

Fino all’ultimo (non che sia adesso, questo “ultimo”, intendiamoci), Berlusconi è spiazzante. Tanto ripetitivo nelle sue ossessioni (mentre lui ne parla ogni mezz’ora, Md s’è quasi sciolta, comunque conta pochissimo fra le toghe), quanto mutevole nelle tattiche e perfino negli stati d’animo. I più disorientati sono politici e direttori di giornali che hanno investito tutto sulla guerra civile permanente. Nei loro schemi non era previsto che il governo, il Pd e il capo dello stato, tutti e tre tenessero fermamente sulla distinzione fra guai giudiziari ed equilibri politici. Fino al punto di conquistare a questa linea perfino un pezzo di campo berlusconiano. Ancora in queste ore, il Fatto e il suo direttore cercano disperatamente le prove del patto tradito da Napolitano, la promessa di salvacondotto sulla quale si sarebbe fondata la stagione delle larghe intese. Parla, o farai la fine di Craxi, intima Padellaro. Nessun patto, ripete seccamente Berlusconi, pur nel momento peggiore dei suoi rapporti con il Quirinale.

Prima o poi Grillo, Travaglio e compagnia dovranno rassegnarsi a cestinare i loro teoremi sul 2013: la storia pubblica si spiega meglio di qualsiasi complotto segreto. Dalla parte opposta, lì dove gli estremi in questi mesi si sono sempre toccati, intrecciati e sostenuti a vicenda, il Giornale del compagno di Daniela Santanché ormai ha sbroccato, come dicono a Roma. Per le cose scritte contro Napolitano ieri, Sallusti deve ringraziare che il presidente stesso abbia voluto far cadere il reato di vilipendio. Rimane, imperdonabile, il vilipendio alla lingua italiana, alla buona educazione, alla logica, alla civiltà, al buon senso.
Non molleranno il loro osso, Fatto e Giornale. Continueranno a ringhiare contro il Pd e contro il capo dello stato perché non possono e non sanno fare altro. Ma non è male pensare che il voto di domani faccia decadere un po’ anche di questo demenziale modo di intendere la vita e il conflitto politico.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.